Intervento sul Guardian: quella di Silvio è ormai una “farsa italiana”.
Il quotidiano della sinistra inglese sceglie le parole di Karl Marx per descrivere la situazione del nostro paese: “La storia si ripete due volte: la prima volta è una tragedia, la seconda è una farsa”. La prima
volta, secondo Roberto Mancini, corrispondente dalla Val d’Aosta per Liberazione e per, appunto, il quotidiano di Manchester, è quella della Repubblica di Salò; la seconda volta è quella di Silvio Berlusconi, a cui tocca, appunto, il ruolo di giullare della storia.
PARALLELI STORICI – “Mussolini, durante gli ultimi giorni di Salò, venne gradualmente abbandonato al suo fato e alle sue delusioni, circondato da ministri di partito e ufficiali troppo compromessi col regime fascista per mantenere una qualsiasi prospettiva più ampia. Anche se il partito si stava disintegrando, il dittatore manteneva una relazione diretta e carismatica con le masse, e riuscì addirittura ad esaltare il pubblico del teatro Lirico di Milano, proclamando di immaginari contrattacchi”, scrive l’editorialista, per il quale questa situazione ricalcherebbe a pennello le cronache dei nostri giorni, “con l’isolamento del leader e la sua perdita di credibilità negli occhi di importanti fazioni della classe dirigente del paese”. Testimonianza di questa empasse sarebbe il caso Marcegaglia: il presidente di Confindustria, “colpevole di aver fatto pubbliche dichiarazioni che mettevano in dubbio la qualità delle politiche finanziarie di Berlusconi”, avrebbe subito un “assalto” dalla stampa del tycoon. Ma il commando sarebbe tornato a casa a mani vuote: “La Marcegaglia non sembra voler essere trattata come un dipendente delle compagnie televisive del presidente”.
POLITICA ECONOMICA – Secondo sintomo della malattia terminale del berlusconismo sarebbero le dichiarazioni di Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia, che ha puntato l’indice sull’economia italiana, “che non starebbe affatto crescendo”. Le sue affermazioni sono state subito contestate dai “due ministri economici più importanti del governo Berlusconi”, Giulio Tremonti e Maurizio Sacconi. “Sembra di essere in una repubblica delle banane: il governo nega i dati della propria banca nazionale. In un normale paese europeo, la controversia si sarebbe risolta con le dimissioni dei ministri, o di Draghi”. E l’ultimo ingrediente del Berlusconi morente sarebbe qualcosa di tipico in “tutti i populisti messi all’angolo: l’attacco insensato al proprio partito. La settimana scorsa ha accusato i membri di non essere abbastanza attivi, e di non fare a sufficienza per difendere e presentare i successi del suo governo”.
AMAZZONI – Scivola nel grottesco, in chiusura, Mancini: “Mi chiedo se nel futuro ci aspetta un nuovo serial Tv che mostri Berlusconi in una prospettiva maoista, pronto a mettere in piedi una ‘rivoluzione culturale’ che gli permetta di eliminare ogni timido residuo di dissenso nella Casa delle Libertà, il suo partito e negli affari. Chi lo sa? Potrebbe persino essere divertente il vivere in un carnevale permanente, con Amazzoni alte e bionde come guardie, vestite in blu chiaro, tutte scelte d’accordo agli standard estetici del leader. La scena finale di questa commedia, che è in realtà un incubo dal quale l’Italia si sveglierà per trovarsi moralmente e finanziariamente in bancarotta, sembra ancora di la da venire”.
Il quotidiano della sinistra inglese sceglie le parole di Karl Marx per descrivere la situazione del nostro paese: “La storia si ripete due volte: la prima volta è una tragedia, la seconda è una farsa”. La prima
volta, secondo Roberto Mancini, corrispondente dalla Val d’Aosta per Liberazione e per, appunto, il quotidiano di Manchester, è quella della Repubblica di Salò; la seconda volta è quella di Silvio Berlusconi, a cui tocca, appunto, il ruolo di giullare della storia.
PARALLELI STORICI – “Mussolini, durante gli ultimi giorni di Salò, venne gradualmente abbandonato al suo fato e alle sue delusioni, circondato da ministri di partito e ufficiali troppo compromessi col regime fascista per mantenere una qualsiasi prospettiva più ampia. Anche se il partito si stava disintegrando, il dittatore manteneva una relazione diretta e carismatica con le masse, e riuscì addirittura ad esaltare il pubblico del teatro Lirico di Milano, proclamando di immaginari contrattacchi”, scrive l’editorialista, per il quale questa situazione ricalcherebbe a pennello le cronache dei nostri giorni, “con l’isolamento del leader e la sua perdita di credibilità negli occhi di importanti fazioni della classe dirigente del paese”. Testimonianza di questa empasse sarebbe il caso Marcegaglia: il presidente di Confindustria, “colpevole di aver fatto pubbliche dichiarazioni che mettevano in dubbio la qualità delle politiche finanziarie di Berlusconi”, avrebbe subito un “assalto” dalla stampa del tycoon. Ma il commando sarebbe tornato a casa a mani vuote: “La Marcegaglia non sembra voler essere trattata come un dipendente delle compagnie televisive del presidente”.
POLITICA ECONOMICA – Secondo sintomo della malattia terminale del berlusconismo sarebbero le dichiarazioni di Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia, che ha puntato l’indice sull’economia italiana, “che non starebbe affatto crescendo”. Le sue affermazioni sono state subito contestate dai “due ministri economici più importanti del governo Berlusconi”, Giulio Tremonti e Maurizio Sacconi. “Sembra di essere in una repubblica delle banane: il governo nega i dati della propria banca nazionale. In un normale paese europeo, la controversia si sarebbe risolta con le dimissioni dei ministri, o di Draghi”. E l’ultimo ingrediente del Berlusconi morente sarebbe qualcosa di tipico in “tutti i populisti messi all’angolo: l’attacco insensato al proprio partito. La settimana scorsa ha accusato i membri di non essere abbastanza attivi, e di non fare a sufficienza per difendere e presentare i successi del suo governo”.
AMAZZONI – Scivola nel grottesco, in chiusura, Mancini: “Mi chiedo se nel futuro ci aspetta un nuovo serial Tv che mostri Berlusconi in una prospettiva maoista, pronto a mettere in piedi una ‘rivoluzione culturale’ che gli permetta di eliminare ogni timido residuo di dissenso nella Casa delle Libertà, il suo partito e negli affari. Chi lo sa? Potrebbe persino essere divertente il vivere in un carnevale permanente, con Amazzoni alte e bionde come guardie, vestite in blu chiaro, tutte scelte d’accordo agli standard estetici del leader. La scena finale di questa commedia, che è in realtà un incubo dal quale l’Italia si sveglierà per trovarsi moralmente e finanziariamente in bancarotta, sembra ancora di la da venire”.
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