lunedì 29 settembre 2014

E poi ci si stupisce della scarsa partecipazione !!


Ieri mattina mi reco al seggio storico delle primarie a Santarcangelo situato nella 
piazza centrale di fronte al Comune e con grande sorpresa mista a 
delusione lo trovo chiuso con un biglietto sulla vetrata in cui si legge
che è stato trasferito nella sede del PD peraltro non situata proprio 
in centro. Capiamo tutti cosa significhi in termini di partecipazione !!
Alla mia richiesta di spiegazioni mi è stato risposto che la saletta
storica non aveva avuto la disponibilità del proprietario e che in
centro c'era troppa confusione per via della fiera di San Michele,
edizione 642 !!. Tutto questo dopo che negli avvisi distribuiti
attraverso tutti i canali ufficiali quella doveva essere la sede del
seggio principale di Santarcangelo !! SPERIAMO SOLO CHE EPISODI SIMILI
NON SI SIANO VERIFICATI ANCHE IN ALTRI COMUNI DELLA REGIONE, SE NO ADDIO
PRIMARIE APERTE!!

sabato 27 settembre 2014

Perchè votare alle primarie, domenica 28 settembre ?

Per restituire alla nostra Regione un luogo di progettazione, di innovazione, di passione verso il futuro. La Regione e’ divenuta per moltissimi un gigante politico-burocratico lontano dai bisogni delle persone, delle imprese e dei territori.


Io credo che, partendo dalla società, si possa ripristinare una relazione di contatto e di fiducia, facendo leva sulla trasparenza delle scelte, sulla verificabilità dei progetti, sullo studio dei successi e degli insuccessi passati. Ripartiamo dalle cose essenziali: una sanità che salga dai cittadini e dagli operatori; la preservazione di un territorio fragile e martoriato da fenomeni climatici e naturali, oltre che da un uso sconsiderato del suolo; un più marcato investimento sul ferro, e quindi sulla mobilita’ pubblica, per rendere la Regione uno spazio sempre più integrato e “facile”; un cambio di passo rispetto all’incenerimento dei rifiuti, per dar vita ad un’economia circolare fondata sul recupero di materia; e poi ricerca e innovazione la’ dove la Regione e le sue imprese possono guadagnare o aprire nuovi spazi, nuovi mercati. Puntiamo sulla grande cultura che ci unisce, sull’intelligenza del fare e del saper fare, sulle potenzialità di giovani desiderosi d’innovazione.
Il lavoro che ci manca nascerà da questa spinta, non dalla riproduzione stanca di modelli pagati con risorse pubbliche o con risorse naturali.
L’occasione del 28 settembre e’ preziosa: possiamo costruire una politica in grado di dialogare sul serio con gli elementi più dinamici della nostra società: individui e imprese che puntano alla concretezza, alla verificabilità, all’uso parsimonioso del denaro pubblico. E’ questa la via per creare un contesto nel quale i bisogni dei più deboli possano trovare risposte, rinsaldando quel nesso fra crescita e integrazione sociale che ha costituito per decenni la miscela vincente dell’Emilia-Romagna. Oggi pero’ dobbiamo rimuovere la cappa di una politica asfittica, autoreferenziale, poco propensa a studiare e a capire l’economia e la società.
Il 28 settembre puoi cominciare questa sana e pacifica rivoluzione, il 28 settembre traccia un segno di fiducia sul mio nome.
Insieme possiamo riuscirci.
Roberto Balzani

lunedì 22 settembre 2014

IO. SOCIALISTA, VOTERO' ROBERTO BALZANI

DOMENICA 28 SETTEMBRE LE PRIMARIE DI COALIZIONE
Gli elettori del centro sinistra scelgono il candidato Presidente della regione Emilia Romagna: si vota dalle 8:00 alle 20:00, i candidati sono Roberto Balzani e Stefano Bonaccini. Maggiori informazioni sul nostro sitowww.partitosocialista.it
I lettori ci scrivono
IO, SOCIALISTA, VOTERO' ROBERTO BALZANI
Le elezioni regionali si terranno il 23 novembre prossimo e ora che sono finalmente definite le candidature alle primarie di coalizione del 28 settembre per la scelta del candidato a Presidente della giunta regionale dell’ Emilia-Romagna, da socialista iscritto al PSI, dichiaro la mia preferenza di voto: voterò Roberto Balzani ed invito i compagni socialisti a fare altrettanto. E lo faccio per tre ragioni. La prima perché è un forlivese, un romagnolo, espressione di un territorio in credito con l'Emilia fin dalla costituzione della regione Emilia-Romagna nel 1970, anche se ciò non pregiudicherà affatto la sua capacità di vedere e agire nell'interesse dell'intera realtà regionale. L’altra motivazione è che nel ruolo di Sindaco di Forlì ricoperto dal 2009 fino allo scorso maggio, quando motivò pubblicamente la decisione di non ricandidarsi per l’impossibilità di poter incidere su un potere così consolidato, Balzani ha dimostrato di saper guardare avanti, senza paraocchi ideologici e senza alcun timore reverenziale, attaccando, quando occorreva, Regione e dirigenza del PD. Spesso ha affermato che pezzi di amministrazione, economia, finanza, società partecipate sono diventati “padroni” della regione. Per questo, dopo il tentativo di scalfire lo stesso potere e le stesse èlites al governo da troppo tempo, lo stesso sistema ha cercato di isolarlo e allontanarlo perché diventato una minaccia alla sua continuità. Sulla costituzione della Ausl unica di Romagna non ha risparmiato a suo tempo pesanti critiche, considerandola un atto di potere calato dall’alto. Il tema della sanità doveva essere un tema squisitamente romagnolo e come tale estraneo a interferenze dei vertici della regione, ma non si è avuta la forza di osteggiarlo. Rivendicando un’autonomia razionale e cooperativa, patrimonio di tutti i romagnoli, Balzani ha criticato invano un decisionismo che non ha lasciato spazio a profonde riflessioni sulla reale efficiente operatività di una azienda sanitaria che deve garantire servizi ed eccellenze ad un’utenza di circa un milione di cittadini. Gli operatori della sanità non sono mai stati chiamati a discutere il progetto di unificazione delle Ausl di Cesena, Forlì, Ravenna e Rimini e senza un progetto chiaro, se non quello di un contenimento della spesa (?), quella scelta non andava fatta. Su Hera e la gestione dell’acqua, Balzani afferma che è una grande risorsa, ma il controllo decisionale deve essere degli enti locali, l’azienda ha attualmente un margine di manovra troppo ampio e la progettazione deve essere del pubblico. Se il pubblico si libera delle reti, come è avvenuto nel ravennate, non è padrone di niente: è una privatizzazione vera e propria. La più importante ragione per la quale sceglierò Balzani è politica e di merito: le idee, il programma e la sua volontà di cambiamento non possono che giovare al futuro di una regione come l'Emilia-Romagna che deve ritrovare, dopo l'esaurirsi della fase di crescita e di buona gestione espressa fino a qualche anno fa, nuova linfa per porre al centro la salvaguardia dell'ambiente con un'azione politica e culturale capace di riscoprire la vera qualità della vita, fatta non solo di benessere economico e di consumismo, ma soprattutto di valori primari quali solidarietà e coesione sociale. Balzani, stimato docente universitario di formazione laica e liberale prestato alla politica, ha le giuste caratteristiche per restituire un ruolo da protagoniste alle realtà territoriali minori che costituiscono parte integrante della nostra regione, troppo spesso dimenticate dai suoi vertici. L’occasione delle primarie rappresenta perciò un'opportunità unica e forse irripetibile, quella di esprimere un voto che sia in grado di promuovere una personalità non di apparato, capace di attuare una svolta nella politica della regione Emilia Romagna. Un'opportunità che in assoluta libertà di pensiero, piena consapevolezza politica e in coscienza, non perderò votando e invitando a votare, per Roberto Balzani.

Alessandro Guidi, già Segretario della Federazione forlivese del PSI, Presidente dell’Amministrazione provinciale di Forlì e Sindaco di Rocca San Casciano

FIUMI, ALLUVIONI, BOMBE D'ACQUA. LA TROPICALIZZAZIONE DEL NOSTRO CLIMA

Il nostro clima cambia. Violenti temporali, temperature alte, umidità para-equatoriale. Esondazioni e alluvioni. Anche in queste ore e anche in Emilia-Romagna. In questo settore vanno concentrate le risorse da spendere in opere pubbliche. Dobbiamo mettere in sicurezza la Regione, e non impermeabilizzarla ulteriormente, come vorrebbe la cricca del cemento a ogni costo, alla quale la politica fino ad ora non saputo resistere. Il che non significa che non ci debba essere un futuro per l'edilizia. Non c' e' per l'edilizia "estensiva" che abbiamo conosciuto fino alla Grande Crisi. Ma ce n'e' uno enorme per il recupero, il ridisegno territoriale, il ripristino, la sicurezza, il risparmio energetico. Questo futuro va incoraggiato e aiutato. E noi lo faremo.

Prof. Roberto Balzani candidato alle primarie per la presidenza della Regione E.R.

lunedì 1 settembre 2014

BALZANI SU HERA E....DINTORNI

La stagione delle multiutility comincia con il superamento delle antiche municipalizzate, negli anni Novanta. Le aziende speciali, sorte con la provvida legge Giolitti 103/1903, avevano compiuto un ciclo importante (pensiamo agli acquedotti, a inizio Novecento, e alla metanizzazione del territorio, negli anni Sessanta) ed erano in condizioni assai diverse le une dalle altre: talune efficienti, altre invece infiltrate dalla politica e divenute parcheggio di ceto parassitario. Con le ovvie, immaginabili ricadute sul piano dell’efficienza gestionale e della cultura d’impresa.

La scelta di accorpare realtà territoriali di dimensioni limitate all’interno di strutture più vaste, dotate di grandi possibilità di investimento sui servizi a rete e di un management di qualità, andava nella direzione di assicurare ai Comuni (che restavano i titolari del controllo della Spa) uno strumento potente, duttile, efficiente, sottraendolo al “mercato politico”e alle sue degenerazioni.

La fase costitutiva delle multiutility è stata quindi segnata dal drenaggio di risorse umane di qualità dalla periferia amministrativa all’impresa e, contestualmente, dalla concentrazione degli impianti. Presentata in questo modo, l’operazione non presentava controindicazioni particolari, e infatti è stata la chiave di volta del successo delle nuove strutture emiliano-romagnole.

Il problema è sorto nel momento in cui Hera in primo luogo (2003), poi Enìa (nata nel 2005 dall’associazione delle municipalizzate emiliane), fondendosi con Iride e dando vita a Iren (2010), sono state quotate in Borsa. Lì c’è stata una mutazione prevedibile, ma radicale. Il management ha acquisito un ovvio predominio, dovendo rispondere al capitale degli investitori privati (nel caso di Hera, anche le Fondazioni bancarie); nello stesso tempo, i soci pubblici hanno faticato a generare politiche proprie, anche in virtù di una specializzazione della comunicazione e dei processi decisionali, preferendo rivestire il ruolo di azionisti percettori di dividendi.

Questa scelta è stata determinata da più fattori: debolezza della classe amministrativa, mutevole e spesso non all’altezza culturalmente di un dibattito tecnico; sistematica asimmetria informativa fra aziende e Comuni, resa più dolorosa e irrecuperabile dal drenaggio dei tecnici pubblici migliori nelle multiutility; tendenza a sottovalutare l’impatto delle tariffe sul consenso, in virtù di una imposizione locale “irresponsabile”
(cioè gestita dal centro del sistema) fino alla crisi del 2008. Infine, ma non meno importante, va segnalato il passaggio di personale politico nei quadri di rappresentanza delle muliutility, attraverso una forma di reclutamento indiretta che ha fatto parlare Marco Damilano di passaggio dal modello berlusconiano del partito-azienda a quello emiliano dell’azienda-partito.

Il tentativo RER di creare un contraltare di pari entità (lo scioglimento degli Ato provinciali e la costituzione di Atersir), anziché riequilibrare sul versante politico i rapporti di forza, accentuando il côté della programmazione, delle gare e dei controlli, ha reso ancora più debole la parte pubblica, fra l’altro ulteriormente impoverita di tecnici a causa di una clausola di salvaguardia che ha permesso al personale comandato negli Ato di tornare agli enti locali di provenienza. Non è chiaro se questo esito sia stato programmato o se sia semplicemente il frutto di miopia politica. Sta di fatto che la stagione inauguratasi nel 2012 è stata segnata dall’ulteriore difficoltà, da parte del pubblico, di intervenire sugli indirizzi di politiche fondamentali per la vita collettiva.

Il ritiro delle delega all’Assessora Freda (2013) e la ricentralizzazione delle stesse sulla figura del Presidente - proprio in coincidenza con la fase calda della discussione del piano regionale di gestione rifiuti - è, anche dal punto di vista simbolico, la testimonianza di un ruolo di mediazione istituzionale assunto da Vasco Errani, più che di costruttore di policies attraverso l’apparato funzionariale e dirigenziale dell’Assessorato.

Ma veniamo ora ad esaminare brevemente la diversità d’impostazione delle politiche emerse in questi anni nei territori della RER. Perché questa è la
novità: rispetto alla acquiescenza e la consueta “riservatezza” con cui la politica (di governo) ha affrontato il tema delle multiutility fino al 2009, ora – sulla scorta di una nuova sensibilità dell’opinione pubblica – assistiamo ad una secolarizzazione del dibattito e ad una maggiore trasparenza dei punti di vista.

La reazione ostile del Sindaco di Imola all’annuncio del Comune di Forlì di votare contro il nuovo allargamento di Hera (alle imprese friulane e
giuliane) e, in seconda battuta, di non sottoscrivere il patto di sindacato fra i soci pubblici di Hera alla sua naturale scadenza (31 dicembre 2014.
Come Ferrara, d’altronde), rivela un elemento finalmente politico della vicenda regionale. Il Sindaco di Imola incarna un’idea perfettamente logica e razionale: la sua città, tramite una holding ben gestita, detiene attualmente il 7,4% delle azioni Hera (una quota seconda solo a Bologna e a Modena), che produce il più alto dividendo pro capite (Imola è una piccola città), se spalmato sui cittadini residenti del Comune (il rapporto rispetto Forlì, tanto per fare un esempio, è di 4:1). La strategia è
chiara: Imola ha deciso, anche in virtù di una dotazione iniziale assai significativa d’impianti, d’investire sulla multiutility, cui ha conferito poi anche le reti, in modo da beneficiare degli utili. Fra il profilo dell’utente/controllore e quello dell’azionista, ha scelto il secondo. E’
poi chiaro che un simile peso in termini di azioni fa sì che Imola sia un socio autorevole e ascoltato, rispetto ad altri – Forlì, Ferrara, Rimini – il cui apporto al capitale sociale viaggia fra l’1,6 e l’1,7%. Per i bilanci di queste città, il dividendo Hera è assai più contenuto e meno strategico.

Il punto di vista alternativo, rappresentato da Forlì in questo caso, è quello di tenere le reti in mano pubblica (non senza un riscontro positivo sui bilanci: vedansi i risultati di Unica Reti) e di occuparsi di gare, tariffe, servizi e controlli: cosa assai difficile e complicata, perché Hera ha drenato dalle ex municipalizzate personale di prim’ordine (come si diceva poco sopra). Forlì, che rappresenta una quota relativamente modesta del capitale Hera (1,6%), ma che può vantare, d’altronde, un portafoglio di utenti/clienti (oltre il 9%) pari a 4 volte la percentuale, ha un interesse opposto a quello di Imola: essa vede la multiutility come erogatrice di buoni servizi possibilmente a basso costo ed è indotta a entrare nel merito della composizione delle tariffe, per evitare che profitti eccessivi vadano a beneficio degli azionisti maggiori (fra cui anche il Comune di Imola).
Detto in altri termini, non tutti i soci pubblici sono uguali: le strategie delle città hanno creato due modelli di riferimento: i fautori della “logica azionista” e quelli della “logica utente”. Che sono alla fine inconciliabili. Per questo, dovendo scegliere, Forlì preferirebbe una società francamente animata da un indirizzo privatistico, dove la foglia di fico del controllo pubblico cede il passo alla realtà così com’è: Hera è un grande colosso capitalistico e finanziario ormai internazionalizzato, privato e insieme pubblico, guidato da un management di indubbie qualità, nel quale le politiche dei Comuni, salvo rari casi, hanno un peso molto modesto. I servizi che Hera potrà erogare saranno sempre più legati ad un ovvio parametro di profitto atteso, con l’inevitabile conseguenza che interi pezzi di sistema locale rischiano di essere progressivamente abbandonati. E’ già successo in altri settori.

Il pubblico dovrebbe invece restare titolare delle reti e dovrebbe gestire – possibilmente in house – quei servizi pubblici per i quali la scala territoriale risulti conveniente e la copertura dei costi attraverso tariffa sia assicurata: per tutti gli altri, sarà il mercato – ed Hera, così come Iren, è di certo un soggetto altamente attrezzato in questo senso – a definire successi e insuccessi delle imprese. Ciò implica, quindi, la riappropriazione di un potere d’indirizzo comunale sulle politiche – pensiamo all’acqua o alla raccolta dei rifiuti, giusto per fare un esempio
-: e tanto più oggi, quando i cittadini vedono che sono i Comuni a determinare la tassazione su questi servizi e pretenderebbero correttamente perciò, con il voto, di orientarne le scelte. Ciò implica, inoltre, una netta separazione fra le funzioni: proprietà delle reti, gare e controllo, da un lato (oltre alla gestione diretta dei servizi esercitabili in regime di monopolio su una scala territoriale circoscritta); competizione fra imprese, multiutility o meno, per i servizi a mercato o ad alta intensità di capitale (e perciò fuori dalla sfera comunale o inter-comunale).

Siamo di fronte a due modelli assai diversi: nell’un caso le politiche passano attraverso la multiutility a partecipazione pubblica, che le interpreta e le declina; nell’altro, la multiutility è un mero strumento, e le politiche restano, in parte almeno, più prossime all’ente in capo al quale è la rappresentanza civica e collettiva diretta.

Direi che si tratta di un tema complesso, ma di grande interesse. Anche perché ci sono altri attori in gioco: la Regione, che ha concentrato su di sé talune funzioni essenziali, lo Stato con le sue “liberalizzazioni”, vere o presunte, l’Europa con i suoi indirizzi. Ecco, credo che questa sia politica in senso puro: diritti, beni

comuni, servizi, tariffe, imprese, rappresentanza, controllo, tutti fusi insieme. E poiché è politica allo stato puro, ritengo che anche su questo terreno debba essere giocata la gara per la Regione prossima ventura, nel 2015.

Perchè la candidatura di Balzani nelle primarie della Regione Emilia Romagna è diversa

L’hanno detto in tanti, per la prima volta si assiste a una consultazione il cui esito non è scontato. Era già successo più volte in altre realtà come ad esempio a Milano con Pisapia-Boeri o in Puglia con Vendola-Boccia, ma in Emilia Romagna mai.
Il modo in cui si è arrivati a questa soluzione è stato molto sofferto. Per un lungo periodo (quasi due mesi) si è cercato di evitare la consultazione proponendo un candidato “unitario”. Individuato nel sindaco di Imola, Manca, su di esso si ventilava un accordo fra Renzi, Bersani e Errani.
Perché il Partito non volesse un confronto fra più soggetti credibili risulta, a chi non è avvezzo alle logiche di apparato, assai poco comprensibile. Ma la soluzione precostituita era talmente incombente che nessuno dei candidati, ad esclusione di Balzani e poi a ruota Bianchi, ha mai dichiarato fino a poco più di un mese dalle elezioni in modo incontrovertibile il proprio intendimento di partecipare alla gara.
Il primo che si espresse due mesi fa, Richetti, lo fece con questa frase.”Nel momento in cui il Partito me lo chiedesse è un’opzione che sono disposto a valutare”. Segue a ruota dopo alcuni giorni Bonaccini: “Se mi candiderò a presidente della Regione? Può darsi, direi che sono al 50%”. E Manca: “Se serve ed è utile che io ci sia, sono a disposizione”Infine Patrizio Bianchi: «Le primarie servono per unire, se la mia persona potrà unire io non mi tirerò indietro». Parecchi giorni più tardi Palma Costi decide di scendere in campo con la frase: “Offro la mia disponibilità per un progetto che guardi in primo luogo ai cittadini”.
Quando alla fine, sparigliando il campo, Richetti decide di candidarsi lo fa dicendo: “Arrivati a 30 giorni dalla data credo che fosse non solo un elemento di dovere ma anche di responsabilità mettere in campo una proposta alla quale NOI avevamo detto che avremmo acceduto”.E Bonaccini subito dopo: “Ho deciso sulla base delle sollecitazioni venute dai territori….di mettermi a disposizione per candidarmi alle primarie”. Infine Manca: “Mi sfilo? Veramente non mi ero infilato”.
Diversa è la storia della candidatura di Balzani. L’ex sindaco forlivese fin da subito si propone senza incertezze affermando che le primarie sono un valore in sé e enuncia una politica di discontinuità radicale con Errani. In una intervista in luglio a Radio Città del Capo aggiunge: “la convergenza su un unico candidato (e l’archiviazione delle primarie) non può essere un embrasson-nous generale dove siamo tutti rappresentati dopo di che non si capisce più assolutamente nulla di quello che pensa uno e pensa l’altro e alla fine c’è una spartizione della torta con qualche piccolo contentino dato all’uno e dato all’altro. Ecco, questo non mi interessa”.
Da queste note si evince come il Partito venga visto da tutti, tranne Balzani, come una entità che in virtù di suoi meccanismi interni può generare il rappresentante giusto. E solo nel caso in cui tale logica s’inceppi si passa al confronto libero. Questa difficoltà a vedere soggetti che si presentano in prima persona e che come dice Renzi “se si perde sono io che ho perso” la si può vedere anche nella ostentazione di Richetti a usare “noi” anziché “io”.
La conseguenza più negativa di questo modo di vedere le cose è che nel momento in cui qualcuno decide di candidarsi lo fa in virtù della propria appartenenza a una parte del partito e non delle politiche che propone. Così Richetti diventa il riferimento dei “renziani della prima ora” che aderiscono alla sua candidatura a prescindere dall’idea di Regione che propone (ad oggi ancora nebulosa).E Bonaccini rappresenta la tradizione del partito emiliano romagnolo. Per cui non è neanche necessario un programma di cambio verso, tanto è importante la continuità con le eccellenze espresse dalla passata amministrazione.Palma Costi è a tal punto anch’essa l’espressione di ciò che è stato che tutti danno per scontato che l’entrata in campo di Bonaccini la porterà a rinunciare. Bianchi è identificato come “prodiano” ovvero di quella cultura che il professore reggiano ha portato nei suoi governi, soprattutto il primo, che ha cercato, con risultati non esaltanti, di non rompere con le componenti massimaliste del partito.
Il solo Balzani fa un discorso esclusivamente sulle “politiche” a prescindere dalle appartenenze, con una idea molto precisa e radicale di innovazione della Regione.
Ma sui contenuti avremo modo di tornare quando la campagna elettorale sarà entrata nel vivo.