giovedì 30 dicembre 2010

PERCHE' L'ARIA DELLE CITTA' RENDE LIBERI

Il giornale di Fli risponde a Nencini

giovedì 30 dicembre 2010



Luciano Lanna, direttore responsabile del Secolo d'Italia, quotidiano di Futuro e Libertà, è intervenuto oggi con un editoriale che riportiamo integralmente, in risposta alla lettera di Nencini pubblicata ieri dal Corsera:


Che non sia davvero più tempo di pensare la politica per riflessi condizionati o sensi d'appartenenza dati per automatici e irreversibili ce lo dimostra l'efficacia dell'immagine utilizzata per evocare una nuova fase politica da Riccardo Nencini, che è il segretario nazionale del Psi ed è stato per il centrosinistra presidente del Consiglio regionale della Toscana. «Al ciclo berlusconiano che tramonta», ha scritto in una lettera pubblicata ieri dal Corriere della Sera, si deve avere adesso il coraggio di sostituire una sintesi e un progetto che fondino la propria coesione sui fattori che caratterizzarono l'Italia di Bearzot. Un mix che faccia, precisava, «del lavoro, della conoscenza, della inclusione e del merito i pilastri attorno ai quali costruire una politica nuova».

L'obiettivo esplicito, aggiungeva Nencini, sarebbe quello di superare e concludere una transizione infinita e pervenire all'idea di un'Italia normale. Un Piano Marshall - così lo definiva - etico e politico destinato alla ricostruzione di una nazione che ha smarrito la sua missione, rancorosa, chiusa, impaurita ed egoista nella forbice sempre più aperta tra ricchezza e povertà. A questo punto, il passaggio secondo noi fondamentale: «La ricostruzione deve avvenire fuori del Parlamento e passare dalle città che in primavera andranno al voto». Un messaggio chiaro ma obbligato di fronte a un mondo politico che non riesce a uscire dalla logica del Palazzo e dall'assolutizzazione della contabilità dei voti nelle Camere. Un dato che deve passare e venire rivendicato anche da chi avverte la stessa urgenza pur provenendo "da destra". È infatti azzeccata la citazione del detto medievale che Nencini rilancia per invitare la politica a guardare più alla società civile che al ceto parlamentare: «L'aria della città rende liberi». È vero: è in quell'aria che nel 1992-93 si percepì il vento del cambiamento, è in quel preciso spazio che dopo decenni la Dc e il Pci perdettero la loro storica egemonia, è nelle città che si determinò la speranza di un nuovo rapporto tra cittadini e istituzioni, è lì che lo stesso Silvio Berlusconi trovò i consensi e l'entusiasmo per lanciare il suo progetto di "miracolo italiano".

Sì, è nelle città, nella società civile, tra i movimenti studenteschi, nel mondo del volontariato, nella cultura vera, nella stessa rete telematica e nel suo universo di relazioni, che si muove la politica che verrà. «Nelle città - concludeva Nencini - ancora oggi maturano le radici del cambiamento». Il messaggio è chiaro e deve rivolgersi non solo alla sinistra riformista, ai cattolici democratici, ai liberaldemocratici, agli ambientalisti e ai riformatori in senso lato, ma anche - se non soprattutto - al nuovo soggetto che è Futuro e libertà.

Di fronte a una fase autoreferenziale della politica, ossessionata dalla conta parlamentare, dai sondaggi e dalle strategie di Palazzo, è il momento di una proposta politica che si rivolga direttamente al paese oltre i tatticismi e le logiche di convenienza. Oltre la destra, la sinistra e il centro, oltre le scelte di campo date per scontate e obbligatorie. Sì, «l'aria delle città rende liberi», per ripetere il detto medievale. Di contro, la politica ufficiale resta descritta da una vecchia immagine di Pier Paolo Pasolini: «Dalle bocche di quei vecchi uomini, ossessivamente uguali a se stessi, non usciva una sola parola che avesse qualche relazione con ciò che noi viviamo e conosciamo. Sembravano dei ricoverati che da trent'anni abitassero un universo concentrazionario...».

giovedì 16 dicembre 2010

Bindi a Ballarò: "Vergognoso il suo livore contro i socialisti e Craxi" dice Ciucchi


Il fantasma di Bettino Craxi è tornato ad aleggiare nella vicenda politica italiana. Protagoniste “due dame” del PD, Angela Finocchiaro e Rosy Bindi, che in maniera vergognosa si sono scagliate contro Craxi e i socialisti accusandoli di essere la causa del berlusconismo e del debito pubblico italiano.
La faccia livida della Bindi a Ballarò è stata la plastica rappresentazione di chi pretende di giustificare, attaccando in modo squallido i socialisti, una rovinosa sconfitta parlamentare e politica, il sostegno assicurato a quel fascista che risponde al nome di Fini, l’aver costruito un centrosinistra che non riuscirebbe a vincere quand’anche Berlusconi lasciasse la scena.
Ma cosa vogliono queste “fattucchiere della politica” dai socialisti?
Nei quattro anni dei Governi Craxi, il debito pubblico passò dal 74.40% all’84,50% e siamo nel 1987. Nel 1992 schizzò al 105,20%; nel 1993 al 115,60%; nel 1994 al 121,50%. Nella Seconda Repubblica il debito è sceso fino al 104% nel 2006 per tornare a salire al 120% nel 2010.
È l’ora di finirla con queste strumentalizzazioni e queste falsità che sono poi le stesse che Berlusconi va rappresentando da anni parlando della Prima Repubblica.
Se il PSI fosse davvero la causa del declino che caratterizza il centrosinistra, basta farglielo sapere! Farebbero meglio a chiedersi piuttosto se la causa di tanta rovina sia invece la cifra di antisocialismo e il deficit di riformismo socialista che esprime il suo centrosinistra e la sua dirigenza sciagurata?
Pensavamo che ogni pena avesse la sua fine, evidentemente per i socialisti non è così.
Se così non è, può diventare allora imprescindibile che anche quanti in questi anni hanno scelto, come noi, di privilegiare l’alleanza a sinistra incomincino ad interrogarsi sul senso del proprio impegno politico in questo campo.

Pieraldo Ciucchi
(Segretario PSI della Toscana)

mercoledì 15 dicembre 2010

NENCINI: DOPO LA FIDUCIA AL GOVERNO SI CREI SUBITO UN NUOVO CENTROSINISTRA

martedì 14 dicembre 2010  
                                                                                                                  (http://www.partitosocialista.it/)

Berlusconi è campione d'inverno, ma è un titolo virtuale: il suo ciclo è ormai finito. I numeri di oggi dicono che l'Italia è destinata a vivere un'altra stagione di instabilità e che il pallino della maggioranza è sempre più nelle mani di Bossi. - Così Riccardo Nencini, segretario del PSI, commentando il voto parlamentare.

E' finito – conclude – il tempo dei tatticismi. Si proponga subito un'alleanza di governo al partito di Casini e su questo asse si crei il nuovo centrosinistra.

Per Bobo Craxi - si è trattato di no spettacolo penoso, una fiducia 'capriccio' che apre la stagione dell'instabilità e dell'incertezza'.

''Il centro-sinistra – sottolinea Craxi - ha di fronte a sé la possibilità di rovesciare la situazione, ma nelle urne, non dal 'palazzo'.


venerdì 10 dicembre 2010

LE AMMINISTRAZIONI LOCALI FATTORE ESSENZIALE PER LO SVILUPPO DELLA DEMOCRAZIA

Gerardo Labellarte

Rimini - sabato 4 dicembre 2010

"Intendo innanzi tutto ringraziare tutti i presenti ed in particolare i nostri ospiti.

Ringrazio il Partito di Rimini e dell’Emilia Romagna che ha contribuito ad organizzare questa manifestazione. Con i compagni emiliani e romagnoli abbiamo avuto modo di lavorare fianco a fianco in questi mesi e di superare alcuni contrasti interni. Ora mi auguro che sotto la guida di Franco Benaglia e della nostra giovane e combattiva consigliera regionale Rita Moriconi, di Rita Cinti Luciani e di Mauro del Bue membri della segreteria nazionale e di un importante e rinnovato gruppo di segretari provinciali, tra i quali il giovanissimo segretario riminese Bragagni, di amministratrici e di amministratori, molti dei quali sono qui oggi, si possa operare un rilancio concreto della presenza socialista in queste terre.

Ce ne sono tutte le condizioni!

Queste sono terre che da sempre hanno visto una presenza concreta e fattiva dei socialisti e dei riformisti. Le terre di Andrea Costa, di Prampolini e di tanti altri. Quel Prampolini che rappresentò la figura tipica del dirigente nazionale la cui vicenda pubblica si identificava in pieno nella vita di un territorio e di una comunità. La sua Reggio Emilia. Quel Prampolini che ebbe a definire i socialisti come gli ”assetati di giustizia, quelli che, in nome dell’uguaglianza umana levano alta la bandiera dei poveri, dei diseredati, dei piccoli, degli umili, degli oppressi, dei calpestati.

Dobbiamo essere all’altezza di quella tradizione, e vorrei raccomandare soprattutto ai nostri giovani di rileggere questa e tante altre storie di socialisti come questa. Ci rottamino pure, anzi è giusto che lo facciano, ma in nome di quei valori e di quelle passioni.

Voglio ringraziare con grande affetto i Sindaci e gli amministratori che sono venuti qui da ogni parte d’Italia. Mi occupo da molti anni di autonomie locali e so quanto sia importante il contributo di concretezza, di sensibilità e di conoscenza dei problemi che essi forniscono alla vita del nostro Partito. Chi si trova in ragione del suo incarico pubblico a contatto quotidiano con le urgenze vere, spesso drammatiche, dei cittadini si rende conto meglio degli altri di quanto la politica politicante si allontani sempre di più da quelle urgenze.

Sono presenti tra noi molti Sindaci e amministratori del Sud, nel quale abbiamo sempre mantenuto una presenza importante. Per loro la vita è molto difficile, come ha dimostrato l’efferato omicidio del sindaco Angelo Vassallo. Che non sarà ricordato mai abbastanza in questo paese in cui escort e veline diventano facilmente personaggi mediatici fino ad essere proposti come modelli di vita.

E un vero e proprio eroe civile viene presto dimenticato.

Il ministro Maroni si gloria degli arresti e noi siamo contenti del fatto che pericolosi latitanti vengano assicurati alla giustizia. Maroni se la prende se si sottolinea che la pressione delle mafie riguarda anche gli amministratori leghisti. Ma Maroni farebbe bene anche a chiedersi come mai la presa sui territori delle organizzazioni criminali non sia minimamente attenuata dall’arresto di ventinove grandi latitanti su trenta.

E forse per rispondersi dovrebbe ricordarsi che il partito suo alleato è guidato in Campania da quel Nicola Cosentino che l’inchiesta chiusa in questi giorni accusa “di aver garantito il permanere dei rapporti tra imprenditoria mafiosa, pubbliche amministrazioni ed enti a partecipazione pubblica e contribuito al riciclaggio e al reimpiego delle provviste finanziarie provenienti dal clan dei Casalesi”

Gli amministratori del Sud sono stretti nella morsa tra i poteri criminali, condizionanti e aggressivi ed un Stato che li fa passare per spreconi e gli taglia le risorse. Eppure sono tanti quelli che come Vassallo, come tanti socialisti, combattono nel silenzio. a proprio rischio, a difesa del proprio territorio e della propria comunità.

I nostri amministratori locali sono un valore.

E’ per questo che abbiamo sempre difeso e intendiamo rafforzare la nostra presenza nelle assemblee elettive. Recentemente, nel corso del congresso del Partito radicale, Emma Bonino, ricordando la fine dell’esperienza della Rosa nel Pugno, ne addossava le responsabilità a noi socialisti. Non dico che non ne abbiamo avute, ma proprio perché il tema dei rapporti tra socialisti e radicali ha sempre una sua attualità, e ne parleremo domani, voglio ricordare l’atteggiamento che in quel periodo di collaborazione caratterizzava i compagni radicali nei confronti dei nostri amministratori locali.

“Voi volete difendere i vostri consiglieri e i vostri assessori” dicevano con un certo sussiego.

Certo che vogliamo difenderli!

Oggi come ieri. Lo ha ricordato qualche tempo fa Ugo Intini ad una nostra manifestazione rievocando una richiesta di Lenin ad una delegazione socialista ricevuta a Mosca. La delegazione rispose di no ad una richiesta di Lenin di ritirare i nostri Sindaci dai comuni in nome della rivoluzione.

I socialisti risposero di no perché noi riteniamo, oggi come allora. che amministrare le comunità locali non sia un aspetto meno nobile dell’attività politica ma che anzi ne costituisca un momento fondamentale.



Il finto federalismo

Avremmo potuto titolare questa nostra conferenza: “Un sistema arrivato al corto circuito”. Ci troviamo infatti in un momento estremamente delicato per la vita delle nostre autonomie locali: l’intero sistema è in una difficoltà gravissima. Il tema per noi socialisti è di particolare importanza in quanto siamo stati da sempre fautori di una crescita equilibrata della capacità di autogoverno delle comunità locali come fattore essenziale dello sviluppo della democrazia.

E siamo stati protagonisti delle stagioni innovative di questa crescita, a partire dalla stessa attuazione del dettato costituzionale relativo alla istituzione delle Regioni, avvenuta oltre vent’anni dopo l’approvazione della Carta.

Il 1 novembre 1967, l’Avanti! annunciava una grande vittoria socialista, il voto della Camera per la istituzione delle Regioni.

Era una conquista del centro sinistra (quello vero) voluta dai socialisti, il risultato di una battaglia durata mezzo secolo.

Sempre infatti i socialisti erano stati protagonisti della lotta per il decentramento dello Stato. Nel 1919, Filippo Turati, in un famoso discorso alla Camera, diceva: ” La Regione non è separatismo, come fu ritenuto per tanti anni, ma forza vera e viva della vita nazionale”.

Fu una battaglia lunga quella dei socialisti per le Regioni. Progetti di legge furono presentati a ogni legislatura (in attuazione della Costituzione, che prevedeva le Regioni ma veniva disattesa). Una battaglia di principio della quale i socialisti dovettero prendere la guida. I comunisti avevano infatti una mentalità centralista, i democristiani erano divisi e in gran parte le osteggiavano. la destra era furiosamente ostile.

Così come la Confindustria. Il giornale degli industriali, ”24 Ore”, temeva che il possibile arrivo dei socialisti al governo portasse con sé le Regioni. E scriveva nel 1960: ”L’opinione pubblica è allarmata. E’ facile immaginare come l’intera vita politica sarebbe dilacerata e sviata una volta che potesse trovare attuazione in tutto il Paese il sistema regionale”.

Prima di quel lontano 1967, mai si era vista una battaglia simile in Parlamento. La Camera creò infatti le regioni dopo quattordici giorni di furioso ostruzionismo della destra.

Occorre sempre conoscere la storia e rileggere alla luce di essa le vicende di oggi. Noi non intendiamo certo lasciare ad altri la bandiera della crescita dell’autogoverno locale, dell’autonomia in una visione unitaria e solidale dello stato, della sussidiarietà.

E’ questo il vero federalismo, non quello fasullo di questo Governo

Sono da sempre valori dei socialisti e della sinistra riformista.

La destra è sempre stata estranea a questi valori e a questi principi. E la Lega li ha assunti strumentalmente. Come ripiego rispetto alla idea originaria della secessione. E sostanzialmente come mezzo diverso per arrivare allo stesso fine sventolato propagandisticamente per anni; un regolamento di conti tra le aree più sviluppate e quelle meno sviluppate del paese.

Non c’è da stupirsi che la immane montagna di chiacchiere federaliste prodotte in questi anni abbia in realtà prodotto l’esatto contrario, e cioè l’aumento del potere di controllo severo e occhiuto dello stato centrale e la devastazione della possibilità da parte degli enti locali di fornire servizi a cittadini, famiglie. imprese.

Un esempio tipico di questo modo di procedere truffaldino è stato il cosiddetto federalismo demaniale. La solita propaganda ha strillato “ci siamo ripresi i nostri mari, fiumi e laghi” A parte il fatto che mari, fiumi e laghi possono senza dubbio costituire una risorsa, ma richiedono anche grande attenzione come ha dimostrato di recente il fiume Bacchiglione in Veneto.

Ma soprattutto è giusto sottolineare che, aldilà dei proclami, lo Stato centrale ha devoluto alle regioni il 3% del proprio patrimonio. E di certo non il più pregiato.

Il decreto attuativo della legge sul federalismo riguardante il fisco municipale (quello della cedolare secca sugli affitti) rende già chiaro, secondo tutti gli analisti, che l’aumento di dotazione finanziaria da essi derivante non compenserà in alcun modo i tagli ai trasferimenti erariali previsti per il 2011.

In parole povere: ulteriore taglio dei servizi

Quanto al nocciolo duro della riforma, e cioè il decreto attuativo del federalismo fiscale, l’ennesima stesura del testo, approvata nei giorni scorsi dal consiglio dei Ministri lascia di stucco anche chi da questo governo si aspetta ormai di tutto.

Intanto si persiste nel metodo di non concordare nulla con le rappresentanze degli enti interessati. Si emettono editti, secondo lo stile Tremonti. E si prevedono severe punizioni per gli amministratori trattati alla stregua di alunni soggetti alla possibilità che la Corte dei Conti ne decreti nientemeno che il “fallimento politico” come recita letteralmente l’articolo 6 del testo approvato.

Nel contempo si persiste a voler valorizzare il ruolo di comuni province e regioni come coadiutori nella lotta all’evasione dei tributi statali. E’ una posizione veramente paradossale: lo Stato dispone di quasi cinquantamila dipendenti dell’Agenzia delle Entrate, di sessantamila finanzieri in divisa e pretende che siano gli amministratori a fare gli ispettori del fisco.

In sintesi condividiamo il giudizio espresso da Errani a nome delle regioni; si tratta di un atto unilaterale contrario al federalismo”.

Del resto sia chiaro un fatto: lo stato centrale non ha le carte in regola per tenere questo atteggiamento da maestrino severo con gli enti locali. Potremmo citare montagne di numeri per confermare questa tesi che è sotto gli occhi di tutti: e’ l’amministrazione centrale dello stato che spende troppo e male e non fa nulla per razionalizzare questa spesa.

E questa mentalità centralista non si manifesta soltanto sul terreno della gestione delle risorse. Tipico da questo punto di vista è l’eccesso di zelo con il quale i ministri, potremmo dire di Sua Santità, Maroni, Sacconi e Fazio si sono affannati a bacchettare i comuni che hanno ritenuto di istituire registri relativi al testamento biologico.

E bene ha fatto l’Associazione Comuni d’Italia a contestare tale interpretazione ritenendo pienamente legittima la raccolta di luogo e soggetto presso il quale si è ritenuto di depositare la propria dichiarazione di volontà.





Lo stato che stritola

Tutto questo crea ovviamente uno stato di sofferenza.

Il carattere distintivo di questa estrema difficoltà è chiarissimo: le amministrazioni locali, tutte, senza distinzioni tra Regioni, Province e Comuni, rischiano di essere stritolate, anzi per dir meglio, vengono quotidianamente stritolate, nella morsa tra una demagogia decentratrice totalmente priva di effetti pratici, ma che genera aspettative nelle popolazioni amministrate e la realtà di una cultura centralista concretamente operante che al contrario riduce drasticamente le risorse e le capacità decisionali e di intervento locale.

Tutti gli indicatori confermano questa tendenza. Se esaminiamo le risorse stanziate sui principali fondi di carattere sociale vedremo che il Fondo per le politiche sociali si è ridotto da 1.582 miliardi a 1.174, quello per la famiglia da 276 a 185, quello per la prima infanzia da 206 a 0, quello per l’inclusione sociale degli immigrati da 100 a 0.

E così via. E di questi dati, sempre con lo stesso segno, ne potremmo snocciolare molti altri.

A ciò si aggiunge la crescente tendenza a scaricare sugli enti le gravi inadempienze che vanno ascritte prevalentemente al Governo nazionale, come avvenuto di recente sulle vicende di Napoli e dell’Aquila.

Insomma il Governo si comporta con le autonomie come un quartier generale che dopo aver lasciato le truppe al fronte senza armi e munizioni, scarica su di esse la responsabilità per la battaglia persa.

Questa situazione induce tra l’altro a drammatizzare ulteriormente la polemica sui “costi della politica“ fino a far considerare ogni istituto democratico, anche locale, in termini di semplice costo, e non di risorsa per la collettività.

Ci siamo sempre opposti a questa demagogia. Gli sprechi ci sono indubbiamente e vanno combattuti, così come andrebbero premiati i comportamenti virtuosi. E questo non avviene.

Si fa di ogni erba un fascio e poi non si fa nulla per razionalizzare. E’ tipico di questa demagogia il tormentone delle province. Si agita il tema dell’abolizione a fini elettorali e poi, passata la festa e gabbato il cittadino, non si fa nulla di nulla. Noi sosteniamo che il sistema province vada razionalizzato così come quello dei comuni e ancor più quello degli enti sovra comunali. E’ assurdo che la Sardegna abbia istituito una provincia di cinquantottomila abitanti con ben due capoluoghi, Lanusei e Tortolì. Ma non è meno sbagliato che continuino ad esistere centinaia di comuni con meno di cinquecento abitanti.



Verso le elezioni amministrative

Nella prossima primavera saranno chiamate al voto 11 province e oltre 1000 comuni, 27 capoluoghi tra i quali Milano, Torino, Bologna, Napoli. Una scadenza importantissima. I primi passi preparatori non sono stati entusiasmanti per il centro sinistra.

Dopo il risultato poco gradito di Milano e alle prese con litigi, rinvii e procedure ingarbugliate in molte altre città, i dirigenti del Partito Democratico cominciano ad avere qualche dubbio sulle virtù salvifiche dello strumento “primarie”.

Riserve che, per la verità, noi socialisti abbiamo espresso da sempre. Non tanto sullo strumento in sé, che in altri contesti ha indubbia validità, quanto sul modo furbesco e surrettizio con il quale è stato innestato nel nostro sistema.

In realtà questo innesto è figlio, come altre creature analoghe, di una cultura “antipolitica” che ha imperato nel nostro paese e che continua a dare cattivi frutti.

Quando oggi si contesta la legge elettorale che crea un Parlamento di “nominati”, si dovrebbero ricordare i “listini” di nominati previsti dalla legge elettorale regionale o gli assessori “nominati “ dai Sindaci e non eletti dai Consigli, in quella comunale e provinciale: due scelte legislative che nascevano da un pregiudizio di inferiorità degli eletti dal popolo rispetto a persone provenienti da una non meglio precisata società civile.

Dallo stesso pregiudizio nasceva la spinta ad affidare alla “base” la scelta dei candidati alle cariche elettive, senza alcuna garanzia e procedura certa, considerando i partiti privi della legittimazione democratica a compierle. Il Partito Democratico, e prima ancora i DS e la Margherita, hanno per anni assecondato questa tendenza usando poi lo strumento a totale discrezione e secondo convenienza per consolidare la propria egemonia sulla coalizione di centro sinistra.

Ma ora la creatura si ribella, acquisisce vita autonoma ed ecco che ci si pone il problema di come neutralizzarla. La nostra opinione in merito è molto semplice e si può riassumere così: riguardo al presente riteniamo che non è mai opportuno cambiare le regole del gioco durante la partita, pertanto le primarie in programma vanno celebrate. Se possibile con regole omogenee e coinvolgendo tutta la coalizione e non “a la carte” , come purtroppo sta avvenendo ancora una volta, e cioè secondo le convenienze locali di questa o quella forza, o peggio di questa o quella corrente.

Per il futuro lo strumento, così com’è e salvo che non sia normato nell’ambito di nuove leggi elettorali, va superato. Del resto nelle elezioni comunali e provinciali esso è inutile, in quanto in caso di disaccordi il primo turno può tranquillamente svolgere il ruolo (altrimenti non se ne capirebbe la funzione) di selezionare le varie candidature a Sindaco e a Presidente.

Per quanto ci riguarda affronteremo le elezioni ……"

martedì 7 dicembre 2010

MORTI E FERITI NEL CENTROSINISTRAPREVISIONI PER IL 15 DICEMBRE: TUONA MA NON PIOVE.

Di Bobo Craxi




Il 15 Dicembre potremmo affermare “tanto tuonò che non piovve”

La scommessa di un vasto arco di forze politiche fondata sulla teoria del declinismo della fase Berlusconiana rischia di infrangersi sul muro di una maggioranza numerica ottenuta comunque in uno dei due rami del parlamento e di una impossibilità di formare nuovi Governi parlamentari che non poggino sul consenso dei Partiti usciti ripetutamente nel corso di questi tre anni vittoriosi dalle urne.

Che il quadro di Maggioranza sia in crisi è chiaro ed è evidente , meno chiare ed evidenti le ragioni politiche che hanno condotto prima Berlusconi ad espellere i dissenzienti dal Partito e questi ultimi passare nel giro di trenta giorni dalla posizione di sostegno al Governo ad una vistosa affermazione di sfiducia dell’esecutivo. Misteri della Seconda repubblica.

Un mistero della Seconda repubblica , ma neanche tanto, é come mai l’opposizione di Sinistra di fronte all’evidente affanno della Maggioranza anziché invocare la possibilità/necessità delle larghe intese , incuneandosi nello scontro fra Centro e destra dello schieramento avverso abbia preferito gettare una sponda alla destra futurista che , nonostante tutte le riverniciature e giravolte ideologico-politche resta pur sempre una pattuglia erede del fu Partito missino con a capo il delfino di Giorgio Almirante.

Il grido di “abbattere il tiranno!” è giustificabile quando si ha la certezza che alla caduta del tiranno si possa riorganizzare il sistema in modo bene ordinato, ma stando alle prime prove generali, il caso Sicilia insegna , l’emarginazione del pdl non produce altro che ammucchiate di potere senza indirizzo politico alcuno.

Questa evenienza l’ha colta bene Marco Pannella che non a caso si è smarcato dall’opposizione rifiutando l’omologazione con una ipotesi politica di alternativa al Pdl che escludeva , nei fatti, la componente laica radicale e riformista.

Se, come potrebbe accadere, la disponibilità ad evitare “ribaltoni” dimostrata dal FLI si coniugasse con l’esigenza manifestata da più parti di evitare le elezioni e dare vita ad una nuova fase ristrutturata del Centro-destra assisteremmo nella migliore delle ipotesi in una chiusura del conflitto a somma zero dove ciascuno denuncerà la propria vittoria e l’altrui sconfitta nel centro-destra e la vittoria comune per avere evitato al paese la beffa di una crisi politica al buio che sarebbe sfociata in elezioni generali che avrebbero scatenato gli appetiti speculativi molto presenti nell’attuale situazione europea ed internazionale.

Questo è l’esito prevedibile.

Morti e feriti nell’opposizione? Si morti e feriti perché c’è chi ha puntato tutte le fiches esclusivamente sull’implosione altrui senza aver immaginato una alternativa reale e non campata in aria, fondata sull’assimilazione delle opposizioni di destra e non su un programma di rilancio compatibile con le esigenze di crisi del paese.

Perché l’impreparazione al voto e le divisioni all’interno del campo dei progressisti sul piano politico e sul terreno delle leadership muovono la convinzione che vi è una simmetria fra il declino del cosiddetto berlusconismo e la teoria malsana del bipartitismo a lungo coltivata anche nella sinistra nostrana.

C’è di che riflettere, c’è di che dire e di che proporre per una sinistra politica realmente riformista ed al passo con le esigenze dei tempi.


(da "Socialist- il socialista clandestino" http://socialist.clandestinoweb.com)

lunedì 6 dicembre 2010

Congresso Nazionale degli Amministratori Socialisti - Intervento di Monica Ricci

 Rimini, 04/12/2010


“ Per me libertà e giustizia sociale, che poi sono le mete del socialismo, costituiscono un binomio inscindibile: non vi può essere vera libertà senza la giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà. Ecco, se a me socialista offrissero la realizzazione della riforma più radicale di carattere sociale, ma privandomi della libertà, io la rifiuterei, non la potrei accettare. [...] Ma la libertà senza giustizia sociale può essere anche una conquista vana. Si può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha un lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli e educarli? Questo non è un uomo libero. [...]”
(Sandro Pertini. Intervista. CESP - Centro Espositivo Sandro Pertini. URL consultato il 2-8-2008.[102])

Credo sia bene, ogni tanto, partire dal generale per poi poter affrontare il particolare. Credo poi fermamente che ripensare a certe radici, alle proprie radici, in questa situazione economica e politica, serva a dare un senso non solo alla nostra storia, ma anche alla nostra azione presente e futura. Non serve riassumere il momento di particolari tensioni che sta vivendo il nostro Paese: sono di questi giorni le manifestazioni di piazza degli studenti che rivendicano il loro diritto ad una istruzione scritta con la I maiuscola attribuitale dalla qualità dell’insegnamento e dai mezzi necessari a praticarlo.
Non c’è priorità nella realizzazione dei dettati della Costituzione, che debbono essere attuati in armonico sviluppo in rapporto ai mezzi disponibili. Ma se priorità ci fosse, metterei l’accento sulla casa ai lavoratori, sulla sanità pubblica e sulla scuola. La scuola, in breve volgere di anni deve venire democratizzata in modo da garantire la selezione di tutti i giovani e l’avviamento agli studi superiori con l’unico criterio della capacità (la meritocrazia!!!) e delle attitudini. Si creerà così la futura classe dirigente del paese in tutto degna dei compiti immani di una democrazia moderna. La libertà e la democrazia non vivono soltanto del giusto equilibrio tra i fattori economici, sociali e politici ma esse ricevono luce dalla cultura, dalle arti, dalla scienza”.
(Giuseppe Saragat. Discorso di insediamento al Quirinale, 29/12/1964)

(Si ricorderà che Saragat fu Presidente della Costituente alla quale venne eletto come deputato anche Pertini).

Non bisogna dimenticarlo.
Perché la conoscenza, “il sapere”, permette la concreta realizzazione della libertà attraverso l’instaurazione e l’evoluzione della giustizia sociale, abbattendo pregiudizi e stereotipi e contrastando la disinformazione, o l’informazione distorta e variamente manipolata, con la capacità critica: la capacità di capire ciò che viene e ci viene detto, analizzarlo e, a volte anche controbattere.
Attenti bene: non sto parlando di polemiche.
Le polemiche sterili non pagano. Ce lo dimostra ogni giorno la nostra scena politica: il “tutti contro mister Berlusconi” serve solo a rendere lui un gigante (anche se ultimamente ha i piedi d’argilla, è sulla scena politica da quasi un ventennio con evidenti risultati..) e a mettere, chi a lui si contrappone demonizzandolo, in una posizione sempre più rischiosa.
Utilizzo appositamente questo termine perché da troppo tempo ci si sta concentrando su quello che non va di questo Paese, cercando di far cadere i colpevoli, con il rischio, sempre più tangibile di perdere di vista la realtà di questa nostra Italia che, accanto ai problemi, ha enormi potenzialità anche sociali (i 1000 campanili, sono a guardar bene,la base di una coesione sociale che, nonostante tutto sta resistendo seppur ridotta allo stremo).

C’è una sorta di ottusità e di arroganza in questa minoranza parlamentare, in questo PD in particolare, che pretende di fare opposizione semplicemente pensando che lo spauracchio del “Grande Nemico” sia un argomento sufficiente per raccogliere il consenso popolare. Dove poi quello stesso partito si trova nelle vesti di partito di Governo (come in questa Regione), si arriva a pensare che, “siccome è sempre stato così e il popolo è bue”, il consenso popolare continuerà ad esistere.

Mi dispiace ma non sono d’accordo. Questo modello di comportamento porta solo alla diffusione della mediocrità e al proliferare di “personaggi pericolosamente in cerca d’autore” laddove si scambia la disponibilità per capacità.

Servono le idee. E gli ideali. E la capacità critica che spesso si accompagna all’istruzione ricevuta ed alle conoscenze apprese.

Dal generale scendo al particolare:
Una situazione mai vista a Santarcangelo, con alleati che ragionano con la loro testa e non sottostanno alle direttive del Sindaco" (...).

Così intitolava La Voce di Romagna, quotidiano locale, il 30/11 riferendosi al voto in consiglio comunale sulle ASP (Aziende di Servizi alla Persona). Il nostro Partito, rappresentato da un consigliere in Consiglio, ha tenuto ferma la posizione di salvaguardare i servizi socio assistenziali esistenti sule territorio e la loro dimensione perfettamente coincidente con i bisogni della comunità locale e nel rispetto della legge regionale, invece di seguire il “diktat” che voleva e pretendeva l’unificazione, ad ogni costo, con le strutture esistenti a Rimini (per creare un organismo più grande – la giustificazione - che possa portare economie di scala ed una gestione con un ambito di programmazione più ampio.. e ad una presidenza “lauta” di CdA potremmo aggiungere noi..). In consiglio non è stata fornita nessuna giustificazione tecnicamente valida al “diktat” di cui sopra, anzi il segretario del PD, e consigliere, è intervenuto incolpando il Governo centrale di minori trasferimenti al settore socio-assistenziale e anche al sanitario..
Quanta impreparazione…Per non parlare di una capacità critica vicina allo 0 e di una totale assenza di argomenti se non l’essere contro!!
Figuratevi che è arrivato perfino a dire “che il voto delle elezioni politiche del 2008 e la conseguente sparizione di alcuni partiti dalla scena politica sono perfettamente in linea con la posizione di alcuni partiti in questo consiglio; l’essere contro per cercare visibilità ha prodotto evidenti risultati a livello nazionale”.
Per la cronaca 11 voti favorevoli all’autonomia e 9 astenuti (PD)

E qui ritorno alla prima parte del mio intervento: le parole di Pertini e di Saragat che riportano a noi gli ideali del Socialismo italiano. Giustizia sociale, libertà, case, scuole e ospedali.
Da questi ideali devono discendere le nostre idee, le nostre proposte concrete, reali e realizzabili.
Ognuno di noi si trova ad amministrare realtà locali di varie dimensioni e con diverse problematiche.
Ognuno è un punto di riferimento per la propria realtà territoriale.
Perché è stretto il legame degli amministratori socialisti con il loro territorio. Perché i nostri concittadini ce lo riconoscono.
Serve ora una buona comunicazione, magari migliore di quella che c’è stata finora (a dire il vero pressoché assente) tra regione e amministratori locali, ma anche tra i vari amministratori per costruire una “rete sociale socialista”.
Così dal particolare si ritorna al generale, al nazionale.
Servono più ideali socialisti in Italia, in questa Italia. Servono più idee. Noi le abbiamo.

“Socialista è chi vive del proprio lavoro e ragiona con la propria testa”.

Monica Ricci


(questo l'intervento preparato.. purtroppo, per mancanza di tempo è stato messo agli atti ma non "socializzato")

giovedì 2 dicembre 2010

 


Riccardo Nencini - L'Italia del buongoverno

Torniamo a Rimini ventotto anni dopo la Conferenza programmatica che in molti hanno indicato, negli anni a venire, come uno dei punti più alti dell’elaborazione politica del riformismo italiano. Torniamo nella Rimini dei ‘meriti e bisogni’ e vi portiamo le eccellenze dei nostri amministratori.

martedì 30 novembre 2010

ASP: il voto in Consiglio

"La Voce" di oggi  (30/11/2010) riporta, a proposito di ASP e del dibattito di questi giorni:

"Una situazione mai vista a Santarcangelo, con alleati che ragionano con la loro testa e non sottostanno alle direttive del Sindaco" (...).

Questo è il punto: ragionare con la propria testa su argomenti ed elementi che devono essere anche tecnicamente motivati. Non ci piacciono i pacchetti preconfezionati.
E serve rispetto. Rispetto significa coinvolgere nelle scelte. Rispetto significa contemplare le diversità di veduta. Rispetto significa rispondere alle domande.

"Socialista è chi vive del proprio lavoro e ragiona con la propria testa".

E' un grave difetto.

Com'è finita?
9 astenuti, 11 favorevoli alla mozione del PDL che proponeva di "azzerare" la fusione con l'ASP di Valloni di Rimini.

Astenuti: tutti i Consiglieri del PD.

A favore: PdL, Lega, Lista Civica, IdV, Maria Rosa Antolini (Repubblicana nel gruppo consigliare PD) e il Partito Socialista.

Da sottolineare il discorso del Segretario del PD, Filippo Sacchetti: fuori tempo e fuori luogo (ma non è una novità).

C'è ancora una maggioranza? Crediamo di sì ma ora è veramente il momento di cambiare passo. E di tirare fuori il rispetto.

ASP: intervento di Eros Tonini in Consiglio Comunale

Noi consiglieri comunali a volte siamo chiamati ad amministrare non solo con la testa ma anche con il cuore e il buon senso, sempre nel rispetto delle leggi e dei regolamenti, travalicando gli schieramenti politici e gli ordini che ci vengono impartiti.

Quando si parla della Casa di Riposo di Santarcangelo, si parla di un pezzo di storia della città: è un patrimonio storico e culturale di tutti radicato in una città, la nostra, dove l’importanza di questa struttura è molto sentita, sono passate intere generazioni ed altrettante generazioni si sono impegnate al suo funzionamento e mantenimento spesso a titolo di puro volontariato seppure con grande professionalità.

Non possiamo dimenticare, ci rivolgiamo in particolare ai più giovani e a coloro che risiedono a Santarcangelo da pochi anni, sappiano che questa struttura che noi vediamo bella, funzionale e moderna, efficiente ed efficace, costituisce un patrimonio di solidarietà e assistenza che viene da lontano, frutto di donazioni, opere filantropiche e beneficenza dei Santarcangiolesi che risalgono alla fine del secolo scorso e non per ultimo quella delle Suore Bianche di Santarcangelo.

Per meglio capire questo patrimonio storico culturale tramandato da generazioni occorre ricordare che una volta nell’ospedale di Santarcangelo vi erano le Suore Bianche che prestavano assistenza infermieristica e una di questa si chiamava Suor Angela Molari che ebbe il merito agli inizi del ‘900 di ospitare nei propri locali, (adiacenti al vecchio ospedale dove ora sarà collocata la nuova biblioteca) i barboni e gli anziani soli; da questa iniziativa è nata la Casa di Riposo Umberto 1°.

Non vanno dimenticate quelle persone, sconosciute ai più che hanno lavorato nell’ombra come amministratori di questo ente. Come non ricordare gli ultimi amministratori del CDA della ex Casa di Riposo Umberto 1°, senza fare un torto ai precedenti ed a quelli successivi, che hanno segnato il passaggio dalla vecchia e antica struttura alla nuova Suor Angela Molari: Filippo Tassinari, Bertozzi Giovanni, Brigliadori Duilio, Tonelli Leandro e Antolini Eugenio; quest’ultimo ha il merito di avere creato le condizioni di un lascito da parte delle Suore Bianche di Santarcangelo di una importante somma e di un podere nella cui vendita si sono ricavate le risorse per costruire l’attuale struttura dedicata alla fondatrice.

Ora noi non possiamo sacrificare tutta questa storia sull’altare riminese, occorre trovare quella volontà comune e quelle soluzioni che la legge prevede per mantenere un ambito sub-distrettuale il più vicino possibile ai nostri concittadini.

Questi ambiti sub-distrettuali sono già presenti nelle province dell’Emilia Romagna, basta guardare la vicina provincia di Forlì con ben 5 sub-distretti.



In breve ALCUNE CONSIDERAZIONI CHE ABBIAMO GIA’ ESPRESSO

Come Socialisti non possiamo che prendere atto che la Regione con la sua Legge, una legge che nei suoi intenti doveva servire a rendere più omogenei territorialmente i servizi socio-assistenziali alla persona riportando la decisioni in merito in mano agli enti locali piuttosto che a fondazioni private (e ad alcune ASL), e successive delibere di Giunta, ha già in partenza previsto che possano esistere e operare al meglio anche realtà come la nostra ASP Valle Marecchia (di ciò dirò in seguito).


Alcuni rischi che da anni andiamo segnalando, in caso di ASP unica distrettuale Rimini Nord, sono questi:

1. Le elevate dimensioni non significano automaticamente efficienza e qualità perché spesso, troppo spesso non vanno di pari passo specie quando si parla di erogazione di servizi (vedi Hera). E in questo caso proprio di servizi si tratta, e per di più rivolti prevalentemente ad un utenza con particolari caratteristiche (gli anziani).

2. Un possibile danno economico per l’indotto locale perché saranno necessari grossi numeri per partecipare a grandi appalti: viene così tagliata fuori una grossa fetta della nostra realtà economica andando inevitabilmente incontro ad una spersonalizzazione del servizio, senza contare che gli artigiani locali, attualmente chiamati per le piccole riparazioni, saranno estromessi.

3. gestione maggiormente accentrata e burocratizzata, con possibili difficoltà nella gestione del quotidiano, aumento delle rette e abbassamento dei livelli assistenziali (basta guardare non troppo lontano – i bilanci sono pubblici – per vedere che qualcuno ha tagliato il numero degli operatori assistenziali per far tornare i conti) : le attuali strutture così costituite hanno offerto garanzia di qualità e tutela dei cittadini nel proprio territorio di origine mantenendo dimensioni umane

Ci sono poi alcune ANOMALIE da sottolineare:

- C’è da considerare innanzitutto l’anomalia della Provincia di Rimini (la sola in Regione) che non ha voluto separare i servizi socio-assistenziali da quelli sanitari. Si continuano a dare le deleghe socio-assitenziali all’ASL: non è possibile capire quali siano i reali costi per i servizi socio-assistenziali che l’ASL svolge per conto del Comune.. é forse questo mescolamento di risorse che induce alla confusione, tra sociale e sanitario?

- L’anomalia più evidente è però la previsione di una fusione di 2 ASP: la legge regionale prevede la trasformazione da IPAB in ASP. La fusione si configurerebbe come unico caso in Regione…



Quali sono le motivazioni che vietano o ostano ad un ASP di Vallata? Da diverso tempo ci viene ripetuto che l’ASP Valmarecchia non può restare così com’è perché:

giovedì 25 novembre 2010

ASP- Continua

Dopo il documento che si riferiva alla campagna elettorale 2009, riportiamo qui di seguito, la lettera inviata nel 2005 ai Sindaci dell'allora Comunità Montana Valmarecchia dai segretari dello SDI di Santarcangelo e Verucchio.
La politica non deve essere improvvisazione.
L'abbiamo sempre sostenuto.




"lì, 19 luglio 2005


Ai SINDACI dei Comuni di:

SANTARCANGELO, VERUCCHIO,

POGGIO BERNI e TORRIANA




Oggetto: Lettera aperta sulla trasformazione/fusione delle Case Protette (ricoveri per anziani).




La fusione delle IPAB in ASP (Aziende Pubbliche di Servizi) secondo quanto prescritto dalla Legge Regionale n° 2 del 2003 è ormai una realtà inevitabile: diciamo addio ai nostri vecchi “ricoveri”.


Inevitabile perché sono state prese decisioni a livello regionale e vengono imposte trasformazioni radicali senza tener conto dei bisogni, delle esigenze, della storia e delle realtà delle comunità locali, senza tener conto del territorio.


Noi Socialisti della Valmarecchia non condividiamo né il metodo né tantomeno il contenuto.


E’ evidente la pericolosità di tale operazione nonché l’incongruenza dei principi che la animano: elevate dimensioni non significano automaticamente efficienza e qualità perché spesso, troppo spesso non vanno di pari passo specie quando si parla di erogazione di servizi (vedi Hera). E in questo caso proprio di servizi si tratta, e per di più rivolti prevalentemente ad un utenza con particolari caratteristiche (gli anziani).


Molteplici sono le implicazioni pratiche di tale trasformazione:


- la normativa prevederebbe, senza l’obbligatorietà, l’accorpamento del “Suor Angela Molari” di Santarcangelo, del Valloni di Rimini e della Casa protetta-R.S.A. di Verucchio, ciò significherebbe unica lista d’attesa per tutto il distretto di Rimini Nord con conseguente assegnazione del primo posto libero ovunque esso si trovi ciò implica conseguentemente uno sradicamento dell’anziano dal contesto a lui conosciuto e notevoli ricadute sulla famiglia;


- perdita di un importante patrimonio che segna la cultura della nostra città (i “vecchioni”) e che in modo improprio viene consegnato in mani che nulla sanno di come è stato gestito nel corso degli anni;


- rischio economico perché risulta che i bilanci degli altri soggetti implicati in questa fusione (vedi il Valloni) non siano strutturalmente “sani” e perché il patrimonio immobiliare frutto di gestioni oculate e/o conferimenti, donazioni e lasciti dovrà essere alienato;


- perdita economica per l’indotto locale perché saranno necessari grossi numeri per partecipare a grandi appalti: viene così tagliata fuori una grossa fetta della nostra realtà economica andando inevitabilmente incontro ad una spersonalizzazione del servizio.


- gestione maggiormente accentrata e burocratizzata con allontanamento della direzione dai clienti interni ed esterni e con possibili difficoltà nella gestione del quotidiano, aumento delle rette e abbassamento dei livelli assistenziali: le attuali strutture così costituite hanno offerto garanzia di qualità e tutela dei cittadini nel proprio territorio di origine mantenendo dimensioni umane

Ma fusione deve esserci, la legge non lascia vie d’uscita. Ma allora si scelga un’ASP con Santarcangelo e Verucchio visto che ve ne è la possibilità (la voce di Rimini non può essere sempre la più grossa).

Stare alla finestra non è produttivo, non giova a nessuno.

Si cerchi per una volta di scegliere il male minore senza che la trasformazione venga imposta. Il cambiamento e la fusione vanno governati fino in fondo.

La posizione dei Socialisti, pertanto non può che essere decisamente contraria ad una fusione con il “Valloni” di Rimini.
Crediamo sia nostro e vostro dovere prendere gli opportuni provvedimenti affinché ciò non accada per tutti i motivi sopracitati.

Auspichiamo che la vostra scelta sia oculata e vada nelle direzione di un accordo Santarcangelo-Verucchio.

Nell’augurarvi buon lavoro porgiamo cordiali saluti.



Paolo Para                                                                                                          Piero Ricci


Segr. Socialisti Democratici di Verucchio                      Segr. Socialisti Democratici di Santarcangelo"

mercoledì 24 novembre 2010

GIORGIO GABER - LA LEGGE (LIVE)

LA CRISI ED I SOCIALISTI

EDITORIALE  di Bobo Craxi


(tratto da  “l’Avanti della domenica!”)



L’Italia è l’unico paese nell’Europa che tocca con mano le conseguenze della crisi economica che si sta concedendo il lusso di una crisi e di una campagna elettorale perenne che è praticamente iniziata nel 2008 l’indomani della vittoria del Centro destra.
E dentro questo “lusso” s’intravedono tutti i limiti della capacità di Governo del centro-destra sommati alle difficoltà del centro sinistra che si continua a spingersi in “direzione ostinata e contraria “.
Se a metà dicembre dopo l’approvazione della Finanziaria il Governo otterrà una prorogatio insperata esso potrà cantar una vittoria ben sapendo che vittoria di pirro trattasi.
Il dado della crisi politica della maggioranza è tratto da tempo, le incompatibilità di progetto e di prospettiva del Popolo delle libertà hanno generato diverse opzioni tutte propedeutiche al posizionamento ad un supposto ‘dopo-berlusconi’ che c’è solo nelle intenzioni di coloro che ritengono di essere pronti alla successione.
Chi si è agitato nel centro-destra con un certo margine di anticipo (Fini) non ha tenuto conto non solo del peso parlamentare del Pdl , ma della solidità espressa dall’elettorato moderato che non ha dato segnali significativi di disaffezione nei confronti della leadership indebolita dai recenti scandali, e quando questi segnali sono arrivati essi si sono indirizzati verso il magmatico mondo della disaffezione alla politica che si può presto tradurre nell’aumento dell’astensione e dell’avvicinamento di una buona fetta di cittadini verso i movimenti o le personalità che esprimono un sentimento anti-politico.
La crisi annunciata ha prodotto il movimento di Centro e le inquietudini leghiste che si sono spinte sino a preconizzare la possibilità di vedere Tremonti a Palazzo Chigi. Il movimento di centro registra anche una disponibilità di casini a ritornare sui propri passi per dare vita ad un “Governo dell’armistizio”, significando così la preoccupazione che un evntuale ritorno alle urne anticipate suonerebbe come un 8 Settembre per il ceto politico italiano con il celeberrimo “tutti a casa”.
La congiura politica contro Berlusconi che si è spinta persino ad invocare un “Union sacrée” per abbattere il tiranno per ora ha partorito solo l’eventualità che in caso di elezioni anticipate il bipolarismo all’Italiana farebbe spazio ad un terzo polo e che le probabilità di “impasse” politico a causa di un possibile no contest elettorale al Senato sarebbe altissimo. Staremo a vedere.
Le destre sono protagoniste in questo momento in europa della gestione delle crisi finanziarie, incapaci di attribuire al mercato ed alla finanza le ragioni sostanziali dello shock economico esse continuano ad illudersi che solo il sostegno all’industria ed al sistema creditizio possano essere la mano santa per garantire crescita e ripresa, voltando le spalle a sostegni a redditi e famiglie per garantire una stabilizzazione dei consumi e per generare maggiore equità e giustizia sociale in un Continente in cui sembra essere scomparsa questa elementare esigenza.
L’Italia non si è sottratta a questa dottrina scellerata, non si sono messe le mani nelle tasche degli italiani , almeno a quelli più ricchi, e si è depressa la nostra capacità di investimento negli assets più importanti per la nostra capacità di ripresa : il sapere , la ricerca scientifica , la cultura in generale.
Al fine di non scontentare nessuno hanno scontentato tutti, con particolare attenzione al Mezzogiorno dove si sta annidando il rischio più enorme per la disgregazione del paese a causa della massiccia presenza di criminalità e di giovani disoccupati.
Se il mondo del progresso ed il mondo del lavoro fossero uniti , a cominciare dai partiti storici e dai Sindacati, se si esercitasse una coerente ed efficace capacità di guida riformista della Sinistra in Italia , promuovendo una suggestiva azione di garanzia nei confronti di larghe fette dell’elettorato che non tollera i miasmi di una politica che fa del pregiudizio e della demonizzazione dell’avversario la cifra della propria iniziativa politica oggi probabilmente saremmo destinati a raccogliere il testimone politico della fine del ciclo del populismo all’italiana.
I Ritardi e le carenze significative e strutturali del Partito Democratico vieppiù insidiato dall’avanzata della disubbidienza e dell’allergia del suo elettorato alle indicazioni dei candidati alle Primarie e da una volontà rigeneratrice e di cambiamento generazionale a cui viene attribuita una capacità palingenetica e salvifica, unita alla divisione dei gruppi dirigenti ed alla indeterminatezza sul sistema delle alleanze che si intendono contrarre nel prossimo venturo sfiancano l’area del centrosinistra che non è ancora pronto all’appuntamento elettorale , impreparazione ampiamente dichiarata dalla volontà di dare vita ad un Governo parlamentare fra le forze anti-berlusconiane.

I Socialisti hanno il compito di mantenere fermo ( non immobile) il proprio baricentro, sviluppando una iniziativa di sostegno all’azione generale del riformismo italiano, riguadagnando il terreno dell’iniziativa a partire dalla presenza diffusa sul territorio italiano che portano il segno distintivo del socialismo riformista.


Fare la politica Socialista e preparare il nuovo Centro-sinistra immaginandolo e pretendendolo a guida ed orientamento riformista e progressista.


E’ un compito che dobbiamo poter assolvere sapendo che c’è ancora un pezzo di strada da percorrere , ma la crisi italiana ci dice che c’è bisogno di noi socialisti.


(23 novembre 2010)

martedì 23 novembre 2010

ASP. Maggio 2009: la nostra posizione nella formulazione del programma di mandato


Questo è ciò che sostenevamo più di un anno fa. Non è una posizione dell'ultima ora. A testimonianza di ciò i nostri numerosi interventi pubblici e politici fin dal 2002



"I nostri anziani devono rimanere a Santarcangelo"

Lettera aperta alle famiglie di Santarcangelo

La nostra casa protetta è in pericolo, progetti e strategie nati altrove e sulla testa dei nostri concittadini, rischiano di privarci di una istituzione nata, con precise disposizioni statutarie, innanzitutto per gli anziani della città e del territorio circostante.
La nostra Casa ha un profondo radicamento nella città, vede la partecipazione di diverse associazione di volontariato, che prestano servizio in maniera attenta e gratuita nella consapevolezza di contribuire al funzionamento di un bene comune a tutti.
Costituisce un patrimonio di solidarietà e assistenza che viene da lontano, frutto di donazioni e opere filantropiche che risalgono alla fine del secolo scorso, non disperdiamolo!. 
La legge regionale, con l’istituzione delle Aziende dei Servizi alla Persona prevede la formazione di una struttura gestionale unica in tutto il distretto di Rimini nord con una sola graduatoria, e una gestione finanziaria unica.
Questo significa accorpare la nostra Casa, ma anche quella di Verucchio, al Valloni di Rimini, istituzioni con bilanci sani ed efficienti ed un alto livello di servizi assistenziali sacrificate sull’altare dell’interesse riminese.
Un altro segnale preoccupante della deriva che potrebbe prendere la questione e la presenza nel nuovo c.d.a. di consiglieri tutti riminesi.
Cosa potrà succedere?
Siamo fortemente preoccupati: quale sarà il nostro futuro?
I nostri anziani corrono il rischio di finire a Rimini, in istituti lontani dai familiari, che in molti casi visitano quotidianamente i loro cari.
Lanciamo un appello a tutte le famiglie che, sostenendo i candidati socialisti al Consiglio Comunale, troveranno difensori intransigenti e unici di questa causa, essendo questa una battaglia che i socialisti di Santarcangelo, troppo spesso soli, combattono da anni. 
Dateci forza e continueremo a farlo con proposte concrete e praticabili.
La soluzione prevista di una unica Azienda dei Servizi alla Persona non è l’unica possibile, in quanto la legge regionale prevede la possibilità di istituire aziende sub-distrettuali, che nel nostro caso potrebbe essere quella di vallata del Marecchia, interessando il territorio e le popolazioni dell’attuale Unione dei Comuni.
Non solo, a rafforzare la soluzione di vallata c’è anche il previsto passaggio dei sette comuni dell’alta valle che costituirebbe un ulteriore bacino di utenza.
Da ultimo, ma non per importanza, perchè non coinvolgere nella ipotesi sub-distrettuale anche il Comune di Bellaria, per dare anche maggiore peso politico alla proposta e visto che i bellariesi utilizzano già in larga misura i nostri servizi?  
Noi socialisti vogliamo salvare il nostro Ricovero e riteniamo sia questa la strada giusta da percorrere con impegno e coraggio, cittadini di Santarcangelo sosteneteci con il voto, siete Voi la nostra unica forza!


I candidati del Partito Socialista al Comune di Santarcangelo  (maggio 2009)  


 
 

domenica 21 novembre 2010

IL PAPA SU USO PRESERVATIVI: IN ALCUNI CASI GIUSTIFICATO. ONU: IMPORTANTE PASSO AVANTI

(CLANDESTINOWEB - domenica 21 novembre 2010)

111AAANUOVOCLANDESTINO/ITALIA/VATICANO/benedettoxvi seduto2.jpg

Si' al profilattico in alcuni casi giustificati; la riabilitazione di Pio XII; lo scandalo pedofilia all'interno della Chiesta, la proibizione per donne musulmane di indossare il burqa, la droga e il sacerdozio femminile. Questi alcuni fra i temi affrontati nel libro Luce del mondo, che raccoglie le conversazioni di Papa Benedetto XVI con il giornalista e scrittore tedesco Peter Seewald, anticipate dall'Osservatore romano.
IL PROFILATTICO SOLO IN SINGOLI CASI GIUSTIFICA - Vi possono essere dei casi nei quali l'uso del condom pu essere giustificato. Per il pontefice si tratta di singoli casi, ad esempio quando una prostituta utilizza un profilattico, e questo pu essere il primo passo verso una moralizzazione, un primo atto di responsabilità per sviluppare di nuovo la consapevolezza del fatto che non tutto è permesso e che non si pu far tutto ci che si vuole. Per, conclude il pontefice, questo non è il modo vero e proprio per vincere l'infezione dell'Hiv. veramente necessaria una umanizzazione della sessualità.
Concentrarsi solo sul profilattico vuol dire banalizzare la sessualità, e questa banalizzazione rappresenta proprio la pericolosa ragione per cui tante e tante persone nella sessualità non vedono più l'espressione del loro amore, ma soltanto una sorta di droga, che si somministrano da sè - spiega il pontefice - Perci anche la lotta contro la banalizzazione della sessualità è parte del grande sforzo affinchè la sessualità venga valutata positivamente e possa esercitare il suo effetto positivo sull'essere umano nella sua totalità. Per, conclude il Papa, questo non è il modo vero e proprio per vincere l'infezione dell'Hiv. veramente necessaria una umanizzazione della sessualità.
GLI ABUSI? UNO SCHOCK ENORME - Le rivelazioni sugli abusi sessuali compiuti nella Chiesta non mi hanno colto di sorpresa del tutto ma le dimensioni comunque furono uno shock enorme. Tre anni e mezzo fa, nell'ottobre 2006, in un discorso ai vescovi irlandesi avevo chiesto loro di stabilire la verità di ci che è accaduto in passato, prendere tutte le misure atte ad evitare che si ripeta in futuro, assicurare che i principi di giustizia vengano pienamente rispettati e, soprattutto, guarire le vittime e tutti coloro che sono colpiti da questi crimini abnormi2, spiega il Papa.
Vedere il sacerdozio improvvisamente insudiciato in questo modo, e con ci la stessa Chiesa Cattolica, è stato difficile da sopportare. In quel momento era importante per non distogliere lo sguardo dal fatto che nella Chiesa il bene esiste, e non soltanto queste cose terribili.
Nell'intervista, Benedetto XVI parla anche dell'azione dei media sul caso, evidentemente non guidata solo dalla pura ricerca della verità. Per il Papa c'è stato del compiacimento a mettere alla berlina la Chiesa e, se possibile, a screditarla.
Ma era necessario che fosse chiaro questo: sin tanto che si tratta di portare alla luce la verità, dobbiamo essere riconoscenti. La verità, unita all'amore inteso correttamente, è il valore numero uno. E poi i media non avrebbero potuto dare quei resoconti se nella Chiesa stessa il male non ci fosse stato. Solo perchè il male era dentro la Chiesa, gli altri hanno potuto rivolgerlo contro di lei.
NO A PROIBIZIONE GENERALIZZATA DEL BURQA - Non vedo ragione di una proibizione generalizzata. Si dice che alcune donne non lo portino volontariamente ma che in realtà sia una sorta di violenza imposta loro. chiaro che con questo non si pu essere d'accordo. Se per volessero indossarlo volontariamente, non vedo perchè glielo si debba impedire.
Quando alla presenza dei cattolici nei paesi mediorientali, il Papa afferma: I cristiani sono tolleranti e in quanto tali permettono anche agli altri la loro peculiare comprensione di sè. Ci rallegriamo del fatto che nei Paesi del Golfo arabo (Qatar, Abu Dhabi, Dubai, Quwait) ci siano chiese nelle quali i cristiani possono celebrare la Messa e speriamo che cos accada ovunque. Per questo è naturale che anche da noi i musulmani possano riunirsi in preghiera nelle moschee.
LE DONNE E IL SACERDOZIO? DIO CHE NON LO PERMETTE - La formulazione di Giovanni Paolo II è molto importante: La Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l'ordinazione sacerdotale', afferma Benedetto XVI. Non si tratta di non volere ma di non potere. Il Signore ha dato una forma alla Chiesa con i Dodici e poi con la loro successione, con i vescovi ed i presbiteri (i sacerdoti). Non siamo stati noi a creare questa forma della Chiesa, bens è costitutiva a partire da Lui. Seguirla è un atto di obbedienza, nella situazione odierna forse uno degli atti di obbedienza più gravosi - spiega il pontefice - Ma proprio questo è importante, che la Chiesa mostri di non essere un regime dell'arbitrio.
Non possiamo fare quello che vogliamo. C'è invece una volontà del Signore per noi, alla quale ci atteniamo, anche se questo è faticoso e difficile nella cultura e nella civiltà di oggi. Per il Papa non si tratta di una scelta discriminatoria: Le funzioni affidate alle donne nella Chiesa sono talmente grandi e significative che non pu parlarsi di discriminazione. Sarebbe cos se il sacerdozio fosse una specie di dominio, mentre al contrario deve essere completamente servizio. Se si dà uno sguardo alla storia della Chiesa, allora ci si accorge che il significato delle donne, da Maria a Monica sino a Madre Teresa, è talmente eminente che per molti versi le donne definiscono il volto della Chiesa più degli uomini.
PIO XII SALV GLI EBREI, STATO UNO DEI GRANDI GIUSTI - Per Benedetto XVI, Pio XII ha fatto tutto il possibile per salvare gli ebrei. Naturalmente ci si pu sempre chiedere: Perchè non ha protestato in maniera più esplicita'? Credo che abbia capito quali sarebbero state le conseguenze di una protesta pubblica. Sappiamo che per questa situazione personalmente ha sofferto molto. Sapeva che in sè avrebbe dovuto parlare, ma la situazione glielo impediva.
Oggi, dice il Papa, persone più ragionevoli ammettono che Pio XII ha salvato molte vite ma sostengono che aveva idee antiquate sugli ebrei e che non era all'altezza del Concilio Vaticano II. Il problema tuttavia non è questo. L'importante è ci che ha fatto e ci che ha cercato di fare, e credo che bisogna veramente riconoscere che è stato uno dei grandi giusti e che, come nessun altro, ha salvato tanti e tanti ebrei.
LA DROGA DISTRUGGE IL FUTURO - Credo che questo serpente del commercio e del consumo di droga che avvolge il mondo sia un potere del quale non sempre riusciamo a farci un'idea adeguata. Distrugge i giovani, distrugge le famiglie, porta alla violenza e minaccia il futuro di intere nazioni.
Benedetto XVI racconta dei racconti di tanti vescovi, soprattutto dell'America Latina i quali riferiscono chelà dove passa la strada della coltivazione e del commercio della droga, e questo avviene in gran parte di quei paesi, è come se un animale mostruoso e cattivo stendesse la sua mano su quel paese per rovinare le persone.
Anche questo aspetto è una terribile responsabilità dell'Occidente: ha bisogno di droghe e cos crea paesi che gli forniscono quello che poi finirà per consumarli e distruggerli. sorta una fame di felicità che non riesce a saziarsi con quello che c'è; e che poi si rifugia per cos dire nel paradiso del diavolo e distrugge completamente l'uomo.
ONU: IMPORTANTE PASSO IN AVANTI - "Un passo significativo e positivo". Cosi' Michel Sidibe, direttore esecutivo dell'agenzia delle Nazioni Unite per la lotta alla diffusione dell'aids, Unaids, commenta le parole del Pontefice sul profilattico nel nuovo libro intervista di Peter Seewald, anticipate ieri dall'Osservatore romano.
''Questo passo avanti riconosce che un comportamento sessuale responsabile e l'uso dei profilattivi hanno un ruolo importante nella prevenzione dell'Hiv'', ha aggiunto Michel Sidibe, a nome delle Nazioni Unite.

giovedì 18 novembre 2010

Calamandrei sulla Scuola come organo centrale della democrazia

Cari colleghi, Noi siamo qui insegnanti di tutti gli ordini di scuole, dalle elementari alle università [...]. Siamo qui riuniti in questo convegno che si intitola alla Difesa della scuola. Perché difendiamo la scuola? Forse la scuola è in pericolo? Qual è la scuola che noi difendiamo? Qual è il pericolo che incombe sulla scuola che noi difendiamo? Può venire subito in mente che noi siamo riuniti per difendere la scuola laica. Ed è anche un po' vero ed è stato detto stamane. Ma non è tutto qui, c'è qualche cosa di più alto. Questa nostra riunione non si deve immiserire in una polemica fra clericali ed anticlericali. Senza dire, poi, che si difende quello che abbiamo. Ora, siete proprio sicuri che in Italia noi abbiamo la scuola laica? Che si possa difendere la scuola laica come se ci fosse, dopo l'art. 7? Ma lasciamo fare, andiamo oltre. Difendiamo la scuola democratica: la scuola che corrisponde a quella Costituzione democratica che ci siamo voluti dare; la scuola che è in funzione di questa Costituzione, che può essere strumento, perché questa Costituzione scritta sui fogli diventi realtà [...]. La scuola, come la vedo io, è un organo "costituzionale". Ha la sua posizione, la sua importanza al centro di quel complesso di organi che formano la Costituzione. Come voi sapete (tutti voi avrete letto la nostra Costituzione), nella seconda parte della Costituzione, quella che si intitola "l'ordinamento dello Stato", sono descritti quegli organi attraverso i quali si esprime la volontà del popolo. Quegli organi attraverso i quali la politica si trasforma in diritto, le vitali e sane lotte della politica si trasformano in leggi. Ora, quando vi viene in mente di domandarvi quali sono gli organi costituzionali, a tutti voi verrà naturale la risposta: sono le Camere, la Camera dei deputati, il Senato, il presidente della Repubblica, la Magistratura: ma non vi verrà in mente di considerare fra questi organi anche la scuola, la quale invece è un organo vitale della democrazia come noi la concepiamo. Se si dovesse fare un paragone tra l'organismo costituzionale e l'organismo umano, si dovrebbe dire che la scuola corrisponde a quegli organi che nell'organismo umano hanno la funzione di creare il sangue [...].
La scuola, organo centrale della democrazia, perché serve a risolvere quello che secondo noi è il problema centrale della democrazia: la formazione della classe dirigente. La formazione della classe dirigente, non solo nel senso di classe politica, di quella classe cioè che siede in Parlamento e discute e parla (e magari urla) che è al vertice degli organi più propriamente politici, ma anche classe dirigente nel senso culturale e tecnico: coloro che sono a capo delle officine e delle aziende, che insegnano, che scrivono, artisti, professionisti, poeti. Questo è il problema della democrazia, la creazione di questa classe, la quale non deve essere una casta ereditaria, chiusa, una oligarchia, una chiesa, un clero, un ordine. No. Nel nostro pensiero di democrazia, la classe dirigente deve essere aperta e sempre rinnovata dall'afflusso verso l'alto degli elementi migliori di tutte le classi, di tutte le categorie. Ogni classe, ogni categoria deve avere la possibilità di liberare verso l'alto i suoi elementi migliori, perché ciascuno di essi possa temporaneamente, transitoriamente, per quel breve istante di vita che la sorte concede a ciascuno di noi, contribuire a portare il suo lavoro, le sue migliori qualità personali al progresso della società [...].
A questo deve servire la democrazia, permettere ad ogni uomo degno di avere la sua parte di sole e di dignità (applausi). Ma questo può farlo soltanto la scuola, la quale è il complemento necessario del suffragio universale. La scuola, che ha proprio questo carattere in alto senso politico, perché solo essa può aiutare a scegliere, essa sola può aiutare a creare le persone degne di essere scelte, che affiorino da tutti i ceti sociali.
Vedete, questa immagine è consacrata in un articolo della Costituzione, sia pure con una formula meno immaginosa. È l'art. 34, in cui è detto: "La scuola è aperta a tutti. I capaci ed i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi". Questo è l'articolo più importante della nostra Costituzione. Bisogna rendersi conto del valore politico e sociale di questo articolo. Seminarium rei pubblicae, dicevano i latini del matrimonio. Noi potremmo dirlo della scuola: seminarium rei pubblicae: la scuola elabora i migliori per la rinnovazione continua, quotidiana della classe dirigente. Ora, se questa è la funzione costituzionale della scuola nella nostra Repubblica, domandiamoci: com'è costruito questo strumento? Quali sono i suoi principi fondamentali? Prima di tutto, scuola di Stato. Lo Stato deve costituire le sue scuole. Prima di tutto la scuola pubblica. Prima di esaltare la scuola privata bisogna parlare della scuola pubblica. La scuola pubblica è il prius, quella privata è il posterius. Per aversi una scuola privata buona bisogna che quella dello Stato sia ottima (applausi). Vedete, noi dobbiamo prima di tutto mettere l'accento su quel comma dell'art. 33 della Costituzione che dice così: "La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi". Dunque, per questo comma [...] lo Stato ha in materia scolastica, prima di tutto una funzione normativa. Lo Stato deve porre la legislazione scolastica nei suoi principi generali. Poi, immediatamente, lo Stato ha una funzione di realizzazione [...].
Lo Stato non deve dire: io faccio una scuola come modello, poi il resto lo facciano gli altri. No, la scuola è aperta a tutti e se tutti vogliono frequentare la scuola di Stato, ci devono essere in tutti gli ordini di scuole, tante scuole ottime, corrispondenti ai principi posti dallo Stato, scuole pubbliche, che permettano di raccogliere tutti coloro che si rivolgono allo Stato per andare nelle sue scuole. La scuola è aperta a tutti. Lo Stato deve quindi costituire scuole ottime per ospitare tutti. Questo è scritto nell'art. 33 della Costituzione. La scuola di Stato, la scuola democratica, è una scuola che ha un carattere unitario, è la scuola di tutti, crea cittadini, non crea né cattolici, né protestanti, né marxisti. La scuola è l'espressione di un altro articolo della Costituzione: dell'art. 3: "Tutti i cittadini hanno parità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinione politica, di condizioni personali e sociali". E l'art. 151: "Tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge". Di questi due articoli deve essere strumento la scuola di Stato, strumento di questa eguaglianza civica, di questo rispetto per le libertà di tutte le fedi e di tutte le opinioni [...].
Quando la scuola pubblica è così forte e sicura, allora, ma allora soltanto, la scuola privata non è pericolosa. Allora, ma allora soltanto, la scuola privata può essere un bene. Può essere un bene che forze private, iniziative pedagogiche di classi, di gruppi religiosi, di gruppi politici, di filosofie, di correnti culturali, cooperino con lo Stato ad allargare, a stimolare, e a rinnovare con varietà di tentativi la cultura. Al diritto della famiglia, che è consacrato in un altro articolo della Costituzione, nell'articolo 30, di istruire e di educare i figli, corrisponde questa opportunità che deve essere data alle famiglie di far frequentare ai loro figlioli scuole di loro gradimento e quindi di permettere la istituzione di scuole che meglio corrispondano con certe garanzie che ora vedremo alle preferenze politiche, religiose, culturali di quella famiglia. Ma rendiamoci ben conto che mentre la scuola pubblica è espressione di unità, di coesione, di uguaglianza civica, la scuola privata è espressione di varietà, che può voler dire eterogeneità di correnti decentratrici, che lo Stato deve impedire che divengano correnti disgregatrici. La scuola privata, in altre parole, non è creata per questo.
La scuola della Repubblica, la scuola dello Stato, non è la scuola di una filosofia, di una religione, di un partito, di una setta. Quindi, perché le scuole private sorgendo possano essere un bene e non un pericolo, occorre: (1) che lo Stato le sorvegli e le controlli e che sia neutrale, imparziale tra esse. Che non favorisca un gruppo di scuole private a danno di altre. (2) Che le scuole private corrispondano a certi requisiti minimi di serietà di organizzazione. Solamente in questo modo e in altri più precisi, che tra poco dirò, si può avere il vantaggio della coesistenza della scuola pubblica con la scuola privata. La gara cioè tra le scuole statali e le private. Che si stabilisca una gara tra le scuole pubbliche e le scuole private, in modo che lo Stato da queste scuole private che sorgono, e che eventualmente possono portare idee e realizzazioni che finora nelle scuole pubbliche non c'erano, si senta stimolato a far meglio, a rendere, se mi sia permessa l'espressione, "più ottime" le proprie scuole. Stimolo dunque deve essere la scuola privata allo Stato, non motivo di abdicazione.
Ci siano pure scuole di partito o scuole di chiesa. Ma lo Stato le deve sorvegliare, le deve regolare; le deve tenere nei loro limiti e deve riuscire a far meglio di loro. La scuola di Stato, insomma, deve essere una garanzia, perché non si scivoli in quello che sarebbe la fine della scuola e forse la fine della democrazia e della libertà, cioè nella scuola di partito. Come si fa a istituire in un paese la scuola di partito? Si può fare in due modi. Uno è quello del totalitarismo aperto, confessato. Lo abbiamo esperimentato, ahimè. Credo che tutti qui ve ne ricordiate, quantunque molta gente non se ne ricordi più. Lo abbiamo sperimentato sotto il fascismo. Tutte le scuole diventano scuole di Stato: la scuola privata non è più permessa, ma lo Stato diventa un partito e quindi tutte le scuole sono scuole di Stato, ma per questo sono anche scuole di partito. Ma c'è un'altra forma per arrivare a trasformare la scuola di Stato in scuola di partito o di setta. Il totalitarismo subdolo, indiretto, torpido, come certe polmoniti torpide che vengono senza febbre, ma che sono pericolosissime. Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci).
Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private.
Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi: (1) ve l'ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. (2) Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. (3) Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico! Quest'ultimo è il metodo più pericoloso. È la fase più pericolosa di tutta l'operazione [...]. Questo dunque è il punto, è il punto più pericoloso del metodo. Denaro di tutti i cittadini, di tutti i contribuenti, di tutti i credenti nelle diverse religioni, di tutti gli appartenenti ai diversi partiti, che invece viene destinato ad alimentare le scuole di una sola religione, di una sola setta, di un solo partito [...].
Per prevedere questo pericolo, non ci voleva molta furberia. Durante la Costituente, a prevenirlo nell'art. 33 della Costituzione fu messa questa disposizione: "Enti e privati hanno diritto di istituire scuole ed istituti di educazione senza onere per lo Stato". Come sapete questa formula nacque da un compromesso; e come tutte le formule nate da compromessi, offre il destro, oggi, ad interpretazioni sofistiche [...]. Ma poi c'è un'altra questione che è venuta fuori, che dovrebbe permettere di raggirare la legge. Si tratta di ciò che noi giuristi chiamiamo la "frode alla legge", che è quel quid che i clienti chiedono ai causidici di pochi scrupoli, ai quali il cliente si rivolge per sapere come può violare la legge figurando di osservarla [...]. E venuta così fuori l'idea dell'assegno familiare, dell'assegno familiare scolastico.
Il ministro dell'Istruzione al Congresso Internazionale degli Istituti Familiari, disse: la scuola privata deve servire a "stimolare" al massimo le spese non statali per l'insegnamento, ma non bisogna escludere che anche lo Stato dia sussidi alle scuole private. Però aggiunse: pensate, se un padre vuol mandare il suo figliolo alla scuola privata, bisogna che paghi tasse. E questo padre è un cittadino che ha già pagato come contribuente la sua tassa per partecipare alla spesa che lo Stato eroga per le scuole pubbliche. Dunque questo povero padre deve pagare due volte la tassa. Allora a questo benemerito cittadino che vuole mandare il figlio alla scuola privata, per sollevarlo da questo doppio onere, si dà un assegno familiare. Chi vuol mandare un suo figlio alla scuola privata, si rivolge quindi allo Stato ed ha un sussidio, un assegno [...].
Il mandare il proprio figlio alla scuola privata è un diritto, lo dice la Costituzione, ma è un diritto il farselo pagare? È un diritto che uno, se vuole, lo esercita, ma a proprie spese. Il cittadino che vuole mandare il figlio alla scuola privata, se la paghi, se no lo mandi alla scuola pubblica. Per portare un paragone, nel campo della giustizia si potrebbe fare un discorso simile. Voi sapete come per ottenere giustizia ci sono i giudici pubblici; peraltro i cittadini, hanno diritto di fare decidere le loro controversie anche dagli arbitri. Ma l'arbitrato costa caro, spesso costa centinaia di migliaia di lire. Eppure non è mai venuto in mente a un cittadino, che preferisca ai giudici pubblici l'arbitrato, di rivolgersi allo Stato per chiedergli un sussidio allo scopo di pagarsi gli arbitri! [...]. Dunque questo giuoco degli assegni familiari sarebbe, se fosse adottato, una specie di incitamento pagato a disertare le scuole dello Stato e quindi un modo indiretto di favorire certe scuole, un premio per chi manda i figli in certe scuole private dove si fabbricano non i cittadini e neanche i credenti in una certa religione, che può essere cosa rispettabile, ma si fabbricano gli elettori di un certo partito [...].
Poi, nella riforma, c'è la questione della parità. L'art. 33 della Costituzione nel comma che si riferisce alla parità, dice: "La legge, nel fissare diritti ed obblighi della scuola non statale, che chiede la parità, deve assicurare ad essa piena libertà, un trattamento equipollente a quello delle scuole statali" [...]. Parità, sì, ma bisogna ricordarsi che prima di tutto, prima di concedere la parità, lo Stato, lo dice lo stesso art. 33, deve fissare i diritti e gli obblighi della scuola a cui concede questa parità, e ricordare che per un altro comma dello stesso articolo, lo Stato ha il compito di dettare le norme generali sulla istruzione. Quindi questa parità non può significare rinuncia a garantire, a controllare la serietà degli studi, i programmi, i titoli degli insegnanti, la serietà delle prove. Bisogna insomma evitare questo nauseante sistema, questo ripugnante sistema che è il favorire nelle scuole la concorrenza al ribasso: che lo Stato favorisca non solo la concorrenza della scuola privata con la scuola pubblica ma che lo Stato favorisca questa concorrenza favorendo la scuola dove si insegna peggio, con un vero e proprio incoraggiamento ufficiale alla bestialità [...].
Però questa riforma mi dà l'impressione di quelle figure che erano di moda quando ero ragazzo. In quelle figure si vedevano foreste, alberi, stagni, monti, tutto un groviglio di tralci e di uccelli e di tante altre belle cose e poi sotto c'era scritto: trovate il cacciatore. Allora, a furia di cercare, in un angolino, si trovava il cacciatore con il fucile spianato. Anche nella riforma c'è il cacciatore con il fucile spianato. la scuola privata che si vuole trasformare in scuola privilegiata. Questo è il punto che conta. Tutto il resto, cifre astronomiche di miliardi, avverrà nell'avvenire lontano, ma la scuola privata, se non state attenti, sarà realtà davvero domani. La scuola privata si trasforma in scuola privilegiata e da qui comincia la scuola totalitaria, la trasformazione da scuola democratica in scuola di partito.
E poi c'è un altro pericolo forse anche più grave. È il pericolo del disfacimento morale della scuola. Questo senso di sfiducia, di cinismo, più che di scetticismo che si va diffondendo nella scuola, specialmente tra i giovani, è molto significativo. È il tramonto di quelle idee della vecchia scuola di Gaetano Salvemini, di Augusto Monti: la serietà, la precisione, l'onestà, la puntualità. Queste idee semplici. Il fare il proprio dovere, il fare lezione. E che la scuola sia una scuola del carattere, formatrice di coscienze, formatrice di persone oneste e leali. Si va diffondendo l'idea che tutto questo è superato, che non vale più. Oggi valgono appoggi, raccomandazioni, tessere di un partito o di una parrocchia. La religione che è in sé una cosa seria, forse la cosa più seria, perché la cosa più seria della vita è la morte, diventa uno spregevole pretesto per fare i propri affari. Questo è il pericolo: disfacimento morale della scuola. Non è la scuola dei preti che ci spaventa, perché cento anni fa c'erano scuole di preti in cui si sapeva insegnare il latino e l'italiano e da cui uscirono uomini come Giosuè Carducci. Quello che soprattutto spaventa sono i disonesti, gli uomini senza carattere, senza fede, senza opinioni. Questi uomini che dieci anni fa erano fascisti, cinque anni fa erano a parole antifascisti, ed ora son tornati, sotto svariati nomi, fascisti nella sostanza cioè profittatori del regime.
E c'è un altro pericolo: di lasciarsi vincere dallo scoramento. Ma non bisogna lasciarsi vincere dallo scoramento. Vedete, fu detto giustamente che chi vinse la guerra del 1918 fu la scuola media italiana, perché quei ragazzi, di cui le salme sono ancora sul Carso, uscivano dalle nostre scuole e dai nostri licei e dalle nostre università. Però guardate anche durante la Liberazione e la Resistenza che cosa è accaduto. È accaduto lo stesso. Ci sono stati professori e maestri che hanno dato esempi mirabili, dal carcere al martirio. Una maestra che per lunghi anni affrontò serenamente la galera fascista è qui tra noi. E tutti noi, vecchi insegnanti abbiamo nel cuore qualche nome di nostri studenti che hanno saputo resistere alle torture, che hanno dato il sangue per la libertà d'Italia. Pensiamo a questi ragazzi nostri che uscirono dalle nostre scuole e pensando a loro, non disperiamo dell'avvenire. Siamo fedeli alla Resistenza. Bisogna, amici, continuare a difendere nelle scuole la Resistenza e la continuità della coscienza morale.