sabato 15 maggio 2010

via cesare battisti

Come Partito Socialista di Santarcangelo interveniamo nel dibattito sulla riapertura al traffico di via Cesare Battisti ponendo la discussione all’interno di una cornice più vasta. Partiamo dal parco. Il Campo della Fiera si è dimostrato una scelta vincente e lungimirante delle precedenti amministrazioni: già allora si decise di intraprendere la via della pedonalizzazione per salvaguardare il centro storico e per valorizzare il centro commerciale naturale.
Già da allora si parlava di un centro storico riservato ai pedoni. Il successivo rifacimento della pavimentazione di via Cesare Battisti e l’ottimo intervento che ha permesso di mettere a disposizione della città e della società del tamburello nuovi spogliatoi e la nuova splendida piazzetta Nicoletti, vanno ulteriormente in questa direzione. Una direzione che nel tempo ha dato, in maniera evidente, i suoi frutti ben visibili anche in questi giorni di fiera. Non solo. Come da noi sostenuto in più riprese, il recupero di piazza Marini sarebbe il completamento ideale, insieme ala realizzazione di ulteriori parcheggi nelle zone limitrofe al centro storico, dell’attività di valorizzazione del nostro borgo in termini di vivibilità, di turismo e di incentivo alle nostre attività economiche. Chiediamo quindi che venga mantenuta la chiusura al traffico di via Cesare Battisti limitando inoltre fortemente e rigorosamente l’accesso. Per questo motivo proponiamo che vengano montati sistemi di rilevazione elettronica per sanzionare puntualmente i non autorizzati che entrano nel centro storico al fine di salvaguardare i residenti ed i pedoni sempre più numerosi.

mercoledì 5 maggio 2010

UN PAESE SENZA CULTURA E SENZA FUTURO

Abbiamo incominciato con la storia (nella scuola media il programma inizia con la caduta dell’impero romano – quasi nulla si studia della società greca, culla della nostra civiltà e della democrazia) e con la geografia (nella scuola media non si studia più l’Italia, ma, quando va bene, appena la propria regione), e ora la riforma delle scuole superiori preannuncia forti tagli alle ore di geografia. Non credo che tutto questo faccia parte di chissà quale diabolico disegno. Una cosa è certa: avremo una società più povera quando un giorno non sapremo nemmeno interpretare le previsioni del tempo.. È recente l’espressione di un senatore della Repubblica Italiana, che fu a suo tempo ministro, in una trasmissione televisiva -- ma certamente esprimeva opinioni non sue "Chi sa fa, chi non sa insegna". Se questo è il parere di molti, ci saranno delle buone ragioni. Vittorino Andreoli, e sappiamo che non è stato certamente tenero nei confronti dei docenti, risponde: "Finché il tempo presente dà il potere alla stupidità e celebra il pragmatismo e non il pensiero e la meditazione del sapere, la scuola apparirà come una vera e propria Cenerentola. E certo una società che mette gli insegnanti al limite con la dignità di vivere, non ama il sapere. Ma non bisogna mollare, e persino un pessimista attivo come me ha voglia di spronarti a essere fiero di essere un insegnante". Da alcuni mesi, ma potremmo dire da qualche anno, i media trasmettono notizie allarmanti sulla preparazione dei nostri studenti e sul livello culturale di questa società, di cui anche gli adulti (o forse soprattutto gli adulti) ne sono coinvolti. L’ignoranza di oggi, o i gravi e scandalosi buchi neri nella preparazione degli studenti e nella preparazione di certe professioni e di persone laureate rappresentano un sintomo preoccupante di questa società. Giovanni Floris ne dà un ricco esempio nelle prime pagine del suo libro La fabbrica degli ignoranti. A questi, altri se ne possono aggiungere e ogni insegnante, volendo, può raccoglierne centinaia di esempi. Non parliamo poi delle abilità espressive, della incapacità a formulare idee. Ricordo un insegnante in un focoso dibattito al collegio docenti. Alzatosi in piedi, così esclamava: "L’importante non è esprimersi, ma comunicare". E lo diceva con una certa gestualità, per farsi capire meglio. Ma era questo ancora un piccolo residuo delle battaglie anni settanta. Fatto sta che quel linguaggio, il linguaggio degli studenti era ed è, per usare una espressione di Don Fuschini “sparagnino”, ridotto all’osso, fatto per slogan. I giovani ora parlano per slogan "cioè non parlano" osservava Moravia, "perché lo slogan non è parola, anzi è la morte della parola", e don Milani, con il suo spirito acuto vedeva nel giusto quando affermava: "Perché è solo la lingua che fa eguali…" Scrive Corrado Augias: "Un giovane che voglia avere davanti a sé una ragionevole porzione di futuro dovrebbe dominare (dico ‘dominare’ non balbettare) almeno tre livelli linguistici: il dialetto locale, quando c’è; la lingua nazionale; una lingua straniera". E con amarezza Giovanni Floris constatava: "l’ignoranza ha un prezzo molto alto per un paese che si ostina a immaginarsi moderno, competitivo, vincente". Giovanni Pacchiano, ex preside, nel 1993 usciva con un libro dal titolo assai emblematico: Di scuola si muore. L’autore non salva proprio nessuno, se non "gli studenti… la parte più sana della realtà della scuola". Nel libro c’è un capitolo – Perché non leggono - che merita particolare attenzione, in cui l’autore, oltre a un lungo elenco di parole il cui significato resta sconosciuto alla maggior parte degli studenti, cerca di individuare le ragioni per cui gli studenti non leggono e dei tanti numerosi errori (ma "Il verbo leggere non sopporta l’imperativo", scriveva in quegli stessi anni Daniel Pennac). E Pacchiano: "Nelle elementari e nelle medie non si fanno più riassunti(possibile che non si riesca più a capire l’importanza del riassunto?), non si studiano più poesie o brani a memoria, non ci si chiede più il significato delle parole: attività noiose e coercitive ma utili a rafforzare in chi impara la confidenza con la lingua. Non parliamo di quegli optional che sono ormai diventati l’analisi grammaticale e logica. Né si incoraggia abbastanza all’amore per la lettura". In questo stato di cose che costringono alcune Università ad attivare corsi di sostegno per l’educazione linguistica, ciascuno può immaginarsi il futuro che vuole in un processo che sta diventando irreversibile. Ma c’è di più – il discorso ci porterebbe allora molto lontano - lo ripeteva in una intervista "Quando le parole perdono significato, la forza fisica prende il sopravvento". La cultura infatti non è solo sapere, è ricerca, è curiosità, è comprendere che "più il sapere avanza, più avanza anche il margine illimitato di non sapere", come scriveva Mario Luzi; è capire che lo scibile è infinito e che ciascuno può avere solo un orizzonte molto limitato di conoscenza, è spinta al superamento di orizzonti, a leggere, a studiare, ad assorbire e rielaborare conoscenze e principi, a migliorarsi per poter cambiare, a modificare il proprio comportamento, a non fermarsi. È il vecchio e sempre nuovo mito di Ulisse che parla ai suoi compagni e li stimola alla ricerca, a non accontentarsi, a fare. La scuola può avere un ruolo fondamentale in questo senso, la scuola e gli insegnanti, se anche gli insegnanti si ritrovassero sulla stessa barca per fare ricerche, per non accontentarsi, per capire che la verità, che ogni verità è sempre provvisoria e che su questo principio si fonda la ragione dello studio e della scienza. Merita allora riflettere su quanto diceva il giornalista Beniamino Placido, da poco scomparso: "Conoscere non significa ricordare, ma sapere in quale libro andare a cercare".