lunedì 30 giugno 2014

il ritorno delle feste dell'Unità

Il PD, su richiesta di Renzi, riscopre il brand delle feste dell'Unità e noi invece abbandoniamo le feste dell'Avanti! per delle generiche "feste riformiste" quando oramai da anni tutti si dicono riformisti. Forse trent'anni fa andava bene, quando riformisti eravamo solo noi, ma ora proprio no. Se dobbiamo marcare la nostra presenza socialista non ci sembra una gran pensata. A meno che.....

sabato 21 giugno 2014

Si chiama diritto di replica

Si chiama diritto di replica. Non mi piacciono le polemiche. Ma c'è una fine alla mia capacità di "guarda avanti e passa". Bene. In 9 anni di assessorato ho chiesto in tutto 3 rimborsi spese: Roma per firmare un protocollo d'intesa col Ministero della Pubblica Istruzione (treno e un pasto); Modena per i finanziamenti del Fondo Sociale Europeo (idem) e Milano per Expo(come sopra più taxi). Significa che nei 1.100 euro lordi al mese per 12 mensilità la benzina per gli spostamenti in Provincia e Regione e ogni altra spesa è sempre stata a mio carico. Come presidente di Focus non ho MAI percepito 1 euro. Certe cose si fanno perché ci si crede, cari miei, non per le poltrone. Avrei potuto approfittarne durante l'anno di commissariamento per avere più visibilità ma non l'ho fatto.
Quindi non credo mi si possa criticare né per le spese "folli", né per aver sfruttato la mia posizione. Quindi resta la critica al mio operato. Su questa sono disposta a confrontarmi. Non sulle falsità.


MONICA RICCI

mercoledì 18 giugno 2014

Precisazioni dopo il recente Consiglio Comunale

In riferimento a quanto affermato nel recente Consiglio Comunale dal noto fascista calunniatore Apolloni e a integrazione di quanto dichiarato dal sindaco desideriamo precisare quanto segue:
1. I Socialisti sono parte integrante della coalizione di centro- sinistra che ha vinto le elezioni ;
2. I Socialisti seppur non presenti nella nuova giunta e nel Consiglio Comunale hanno contribuito con i loro voti in maniera determinante alla vittoria del centro-sinistra al primo turno e alla elezione di Alice Parma a sindaco della città;
3. Contrariamente a quanto dichiarato da questo ” losco figuro “ l’attuale Presidente della Fondazione Culture “ FO.Cu.S “ NON PERCEPISCE ALCUNA INDENNITA' E CIO' AVVIENE DA QUANDO HA ASSUNTO QUELL'INCARICO;
4. L’azione di “squadrismo istituzionale” messo in atto da questo individuo, non nuovo a simili bravate, è stato particolarmente grave in quanto succeduto al ricordo da parte del sindaco, del 90esimo dalla morte del primo eroe dell’antifascismo e della libertà, IL SOCIALISTA GIACOMO MATTEOTTI

venerdì 13 giugno 2014

Il fallimento politico di Berlinguer

Il recentissimo libro di Claudia Mancina, significativamente intitolato “Berlinguer in questione, merita la massima attenzione. La Mancina, infatti, sottopone il ruolo storico svolto dal leader comunista a una disanima tutt’altro che agiografica. Le sue critiche sono puntuali e ben argomentate. E tuttavia alla fine della lettura è difficile non provare una certa insoddisfazione. Non basta, infatti, dire che, dopo il fallimento della strategia del “compromesso storico”, Berlinguer non seppe fare altro che agitare la “questione morale”. E non basta sottolineare lo spirito antimoderno della condanna del consumismo in nome dell’austerità. Come non basta sottolineare il carattere velleitario della così detta “alternativa democratica”. Ci sono altre ragioni, assai più profonde, che rendono il lascito politico di Berlinguer del tutto negativo. E si tratta di ragioni che affondano le loro radici nella idea togliattiana della “democrazia progressiva” concepita come un vero e proprio “cavallo di Troia “ per conquistare la “fortezza borghese”.
Berlinguer, in ogni suo intervento, bruciò l’incenso davanti a quello che Filippo Turati, nel memorabile discorso di Livorno, definì “il feticcio di Mosca”. E sempre glorificò le “grandi conquiste” della Rivoluzione bolscevica e la superiorità morale del sistema sovietico, al quale contrappose una lettura demonizzante dell’Occidente, bollato come un mondo tutto dominato “dall’egoismo di gruppo e individuale, dalla corsa al consumismo, dalla degradazione della persona umana a puro strumento cieco di una attività produttiva frantumata, ideata da altri, appropriata da altri, con tutte le conseguenze di scissione della personalità, di degradazione e di disgregazione sociale e morale”.
Né è tutto. Berlinguer – ottenebrato dall’assunzione di massicce dosi di quello che la grande Simone Weil chiamava “l’oppio degli intellettuali” – non solo fu totalmente cieco di fronte agli orrori del così detto “socialismo realizzato”; giunse anche a tessere l’elogio della “ricca lezione leninista”, che del totalitarismo comunista era la matrice ideologica. Donde la condanna, ossessivamente reiterata, della socialdemocrazia, colpevole di aver rinunciato alla fuoriuscita dal capitalismo.
È vero che Berlinguer sventolò la bandiera della “terza via”. Ma questa altro non fu che una formula vuota, uno slogan propagandistico ideato per mascherare il fatto che il Pci , quando passava dal linguaggio della critica al linguaggio della proposta, diventava completamente afasico. E questo perché non aveva un modello di sviluppo democratico alternativo a quello della disprezzata socialdemocrazia. Ciò è tanto vero che nel 1977 Alberto Asor Rosa, costretto dall’evidenza dei fatti, così si espresse: “Ci manca un’idea di ciò che dovrebbe essere una formazione economico-sociale non fondata sul profitto; e un’idea di una istituzione statuale, o comunque di una qualsiasi organizzazione della società, che non ripeta i modelli, sia pure corretti e integrati, della democrazia rappresentativa. Cioè, ci mancano le due idee fondamentali”.
Di fronte a questa franca ammissione, sarebbe stata cosa affatto logica imboccare la via del socialismo riformista, come proponeva, del tutto inascoltato, Bettino Craxi. E, invece, Berlinguer mai rinunciò all’idea della superiorità intellettuale e morale del Pci. Al contrario, egli sempre rivendicò – e con la massima energia – quella “diversità” comunista glorificata da Pier Paolo Pasolini con le parole che la Mancina opportunamente ricorda: “Il Partito comunista italiano è un Paese pulito in un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in un Paese idiota, un Paese colto in un pese ignorante, un Paese umanista in un Paese consumista”.
Luciano Pellicani

mercoledì 11 giugno 2014

Ogni commento è superfluo

"«PELLEGRINO DEL NULLA» appare a noi Giacomo Matteotti quando consideriamo la sua vita e la sua fine in relazione con tutte le circostanze che danno ad esse un valore non più «personale», ma di indicazione generale e di simbolo. ANTONIO GRAMSCI

martedì 10 giugno 2014

Matteotti 90 anni dopo

Giacomo Matteotti, un riformista eretico. 


Nel pomeriggio del 10 giugno 1924, il deputato socialista polesano Giacomo Matteotti viene rapito mentre si reca a Montecitorio. Sono cinque i fascisti che aggrediscono Matteotti sul Lungotevere Arnaldo da Brescia. Matteotti cerca di resistere in tutti i modi, ma alla fine, dopo una lunga e violenta colluttazione, viene sopraffatto e caricato in macchina. A bordo dell’auto viene pestato a sangue e alla fine accoltellato. Il cadavere viene seppellito lontano dal centro, lungo la via Flaminia dove verrà infine ritrovato soltanto il 16 agosto dello stesso anno.
Quello stesso anno i fascisti, grazie alla Legge Acerbo, avevano ottenuto la maggioranza assoluta, ma avevano dovuto cedere molti collegi alle opposizioni e questo nonostante le violenze e le intimidazioni, fin dentro i seggi elettorali, con tanto di schede aperte prima di essere inserite nelle urne, contro chiunque accennasse ad un atteggiamento di critica o di protesta. Il 30 maggio 1924 Matteotti prese la parola a Montecitorio per contestare duramente la validità delle elezioni e questa viene ritenuta oggi ancora la causa scatenante del suo assassinio. Il 26 giugno i deputati antifascisti (con l’eccezione dei comunisti) decisero di abbandonare i lavori parlamentari pretendendo dal governo una posizione chiara sul rapimento di Matteotti, già sospettando la natura e l’origine politica del fatto, ed eleggendo come proprio luogo di riunione il colle dell’Aventino. A gennaio del ’25 Mussolini rivendicò a sé la responsabilità politica, morale e storica delle violenze fasciste e l’anno successivo revocò il mandato parlamentare ai deputati “aventiniani”, sciogliendo tutti i partiti dell’opposizione e instaurando la dittatura fascista.