Nel pomeriggio del 10 giugno 1924, il deputato socialista polesano Giacomo Matteotti viene rapito mentre si reca a Montecitorio. Sono cinque i fascisti che aggrediscono Matteotti sul Lungotevere Arnaldo da Brescia. Matteotti cerca di resistere in tutti i modi, ma alla fine, dopo una lunga e violenta colluttazione, viene sopraffatto e caricato in macchina. A bordo dell’auto viene pestato a sangue e alla fine accoltellato. Il cadavere viene seppellito lontano dal centro, lungo la via Flaminia dove verrà infine ritrovato soltanto il 16 agosto dello stesso anno.
Quello stesso anno i fascisti, grazie alla Legge Acerbo, avevano ottenuto la maggioranza assoluta, ma avevano dovuto cedere molti collegi alle opposizioni e questo nonostante le violenze e le intimidazioni, fin dentro i seggi elettorali, con tanto di schede aperte prima di essere inserite nelle urne, contro chiunque accennasse ad un atteggiamento di critica o di protesta. Il 30 maggio 1924 Matteotti prese la parola a Montecitorio per contestare duramente la validità delle elezioni e questa viene ritenuta oggi ancora la causa scatenante del suo assassinio. Il 26 giugno i deputati antifascisti (con l’eccezione dei comunisti) decisero di abbandonare i lavori parlamentari pretendendo dal governo una posizione chiara sul rapimento di Matteotti, già sospettando la natura e l’origine politica del fatto, ed eleggendo come proprio luogo di riunione il colle dell’Aventino. A gennaio del ’25 Mussolini rivendicò a sé la responsabilità politica, morale e storica delle violenze fasciste e l’anno successivo revocò il mandato parlamentare ai deputati “aventiniani”, sciogliendo tutti i partiti dell’opposizione e instaurando la dittatura fascista.
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