venerdì 10 dicembre 2010

LE AMMINISTRAZIONI LOCALI FATTORE ESSENZIALE PER LO SVILUPPO DELLA DEMOCRAZIA

Gerardo Labellarte

Rimini - sabato 4 dicembre 2010

"Intendo innanzi tutto ringraziare tutti i presenti ed in particolare i nostri ospiti.

Ringrazio il Partito di Rimini e dell’Emilia Romagna che ha contribuito ad organizzare questa manifestazione. Con i compagni emiliani e romagnoli abbiamo avuto modo di lavorare fianco a fianco in questi mesi e di superare alcuni contrasti interni. Ora mi auguro che sotto la guida di Franco Benaglia e della nostra giovane e combattiva consigliera regionale Rita Moriconi, di Rita Cinti Luciani e di Mauro del Bue membri della segreteria nazionale e di un importante e rinnovato gruppo di segretari provinciali, tra i quali il giovanissimo segretario riminese Bragagni, di amministratrici e di amministratori, molti dei quali sono qui oggi, si possa operare un rilancio concreto della presenza socialista in queste terre.

Ce ne sono tutte le condizioni!

Queste sono terre che da sempre hanno visto una presenza concreta e fattiva dei socialisti e dei riformisti. Le terre di Andrea Costa, di Prampolini e di tanti altri. Quel Prampolini che rappresentò la figura tipica del dirigente nazionale la cui vicenda pubblica si identificava in pieno nella vita di un territorio e di una comunità. La sua Reggio Emilia. Quel Prampolini che ebbe a definire i socialisti come gli ”assetati di giustizia, quelli che, in nome dell’uguaglianza umana levano alta la bandiera dei poveri, dei diseredati, dei piccoli, degli umili, degli oppressi, dei calpestati.

Dobbiamo essere all’altezza di quella tradizione, e vorrei raccomandare soprattutto ai nostri giovani di rileggere questa e tante altre storie di socialisti come questa. Ci rottamino pure, anzi è giusto che lo facciano, ma in nome di quei valori e di quelle passioni.

Voglio ringraziare con grande affetto i Sindaci e gli amministratori che sono venuti qui da ogni parte d’Italia. Mi occupo da molti anni di autonomie locali e so quanto sia importante il contributo di concretezza, di sensibilità e di conoscenza dei problemi che essi forniscono alla vita del nostro Partito. Chi si trova in ragione del suo incarico pubblico a contatto quotidiano con le urgenze vere, spesso drammatiche, dei cittadini si rende conto meglio degli altri di quanto la politica politicante si allontani sempre di più da quelle urgenze.

Sono presenti tra noi molti Sindaci e amministratori del Sud, nel quale abbiamo sempre mantenuto una presenza importante. Per loro la vita è molto difficile, come ha dimostrato l’efferato omicidio del sindaco Angelo Vassallo. Che non sarà ricordato mai abbastanza in questo paese in cui escort e veline diventano facilmente personaggi mediatici fino ad essere proposti come modelli di vita.

E un vero e proprio eroe civile viene presto dimenticato.

Il ministro Maroni si gloria degli arresti e noi siamo contenti del fatto che pericolosi latitanti vengano assicurati alla giustizia. Maroni se la prende se si sottolinea che la pressione delle mafie riguarda anche gli amministratori leghisti. Ma Maroni farebbe bene anche a chiedersi come mai la presa sui territori delle organizzazioni criminali non sia minimamente attenuata dall’arresto di ventinove grandi latitanti su trenta.

E forse per rispondersi dovrebbe ricordarsi che il partito suo alleato è guidato in Campania da quel Nicola Cosentino che l’inchiesta chiusa in questi giorni accusa “di aver garantito il permanere dei rapporti tra imprenditoria mafiosa, pubbliche amministrazioni ed enti a partecipazione pubblica e contribuito al riciclaggio e al reimpiego delle provviste finanziarie provenienti dal clan dei Casalesi”

Gli amministratori del Sud sono stretti nella morsa tra i poteri criminali, condizionanti e aggressivi ed un Stato che li fa passare per spreconi e gli taglia le risorse. Eppure sono tanti quelli che come Vassallo, come tanti socialisti, combattono nel silenzio. a proprio rischio, a difesa del proprio territorio e della propria comunità.

I nostri amministratori locali sono un valore.

E’ per questo che abbiamo sempre difeso e intendiamo rafforzare la nostra presenza nelle assemblee elettive. Recentemente, nel corso del congresso del Partito radicale, Emma Bonino, ricordando la fine dell’esperienza della Rosa nel Pugno, ne addossava le responsabilità a noi socialisti. Non dico che non ne abbiamo avute, ma proprio perché il tema dei rapporti tra socialisti e radicali ha sempre una sua attualità, e ne parleremo domani, voglio ricordare l’atteggiamento che in quel periodo di collaborazione caratterizzava i compagni radicali nei confronti dei nostri amministratori locali.

“Voi volete difendere i vostri consiglieri e i vostri assessori” dicevano con un certo sussiego.

Certo che vogliamo difenderli!

Oggi come ieri. Lo ha ricordato qualche tempo fa Ugo Intini ad una nostra manifestazione rievocando una richiesta di Lenin ad una delegazione socialista ricevuta a Mosca. La delegazione rispose di no ad una richiesta di Lenin di ritirare i nostri Sindaci dai comuni in nome della rivoluzione.

I socialisti risposero di no perché noi riteniamo, oggi come allora. che amministrare le comunità locali non sia un aspetto meno nobile dell’attività politica ma che anzi ne costituisca un momento fondamentale.



Il finto federalismo

Avremmo potuto titolare questa nostra conferenza: “Un sistema arrivato al corto circuito”. Ci troviamo infatti in un momento estremamente delicato per la vita delle nostre autonomie locali: l’intero sistema è in una difficoltà gravissima. Il tema per noi socialisti è di particolare importanza in quanto siamo stati da sempre fautori di una crescita equilibrata della capacità di autogoverno delle comunità locali come fattore essenziale dello sviluppo della democrazia.

E siamo stati protagonisti delle stagioni innovative di questa crescita, a partire dalla stessa attuazione del dettato costituzionale relativo alla istituzione delle Regioni, avvenuta oltre vent’anni dopo l’approvazione della Carta.

Il 1 novembre 1967, l’Avanti! annunciava una grande vittoria socialista, il voto della Camera per la istituzione delle Regioni.

Era una conquista del centro sinistra (quello vero) voluta dai socialisti, il risultato di una battaglia durata mezzo secolo.

Sempre infatti i socialisti erano stati protagonisti della lotta per il decentramento dello Stato. Nel 1919, Filippo Turati, in un famoso discorso alla Camera, diceva: ” La Regione non è separatismo, come fu ritenuto per tanti anni, ma forza vera e viva della vita nazionale”.

Fu una battaglia lunga quella dei socialisti per le Regioni. Progetti di legge furono presentati a ogni legislatura (in attuazione della Costituzione, che prevedeva le Regioni ma veniva disattesa). Una battaglia di principio della quale i socialisti dovettero prendere la guida. I comunisti avevano infatti una mentalità centralista, i democristiani erano divisi e in gran parte le osteggiavano. la destra era furiosamente ostile.

Così come la Confindustria. Il giornale degli industriali, ”24 Ore”, temeva che il possibile arrivo dei socialisti al governo portasse con sé le Regioni. E scriveva nel 1960: ”L’opinione pubblica è allarmata. E’ facile immaginare come l’intera vita politica sarebbe dilacerata e sviata una volta che potesse trovare attuazione in tutto il Paese il sistema regionale”.

Prima di quel lontano 1967, mai si era vista una battaglia simile in Parlamento. La Camera creò infatti le regioni dopo quattordici giorni di furioso ostruzionismo della destra.

Occorre sempre conoscere la storia e rileggere alla luce di essa le vicende di oggi. Noi non intendiamo certo lasciare ad altri la bandiera della crescita dell’autogoverno locale, dell’autonomia in una visione unitaria e solidale dello stato, della sussidiarietà.

E’ questo il vero federalismo, non quello fasullo di questo Governo

Sono da sempre valori dei socialisti e della sinistra riformista.

La destra è sempre stata estranea a questi valori e a questi principi. E la Lega li ha assunti strumentalmente. Come ripiego rispetto alla idea originaria della secessione. E sostanzialmente come mezzo diverso per arrivare allo stesso fine sventolato propagandisticamente per anni; un regolamento di conti tra le aree più sviluppate e quelle meno sviluppate del paese.

Non c’è da stupirsi che la immane montagna di chiacchiere federaliste prodotte in questi anni abbia in realtà prodotto l’esatto contrario, e cioè l’aumento del potere di controllo severo e occhiuto dello stato centrale e la devastazione della possibilità da parte degli enti locali di fornire servizi a cittadini, famiglie. imprese.

Un esempio tipico di questo modo di procedere truffaldino è stato il cosiddetto federalismo demaniale. La solita propaganda ha strillato “ci siamo ripresi i nostri mari, fiumi e laghi” A parte il fatto che mari, fiumi e laghi possono senza dubbio costituire una risorsa, ma richiedono anche grande attenzione come ha dimostrato di recente il fiume Bacchiglione in Veneto.

Ma soprattutto è giusto sottolineare che, aldilà dei proclami, lo Stato centrale ha devoluto alle regioni il 3% del proprio patrimonio. E di certo non il più pregiato.

Il decreto attuativo della legge sul federalismo riguardante il fisco municipale (quello della cedolare secca sugli affitti) rende già chiaro, secondo tutti gli analisti, che l’aumento di dotazione finanziaria da essi derivante non compenserà in alcun modo i tagli ai trasferimenti erariali previsti per il 2011.

In parole povere: ulteriore taglio dei servizi

Quanto al nocciolo duro della riforma, e cioè il decreto attuativo del federalismo fiscale, l’ennesima stesura del testo, approvata nei giorni scorsi dal consiglio dei Ministri lascia di stucco anche chi da questo governo si aspetta ormai di tutto.

Intanto si persiste nel metodo di non concordare nulla con le rappresentanze degli enti interessati. Si emettono editti, secondo lo stile Tremonti. E si prevedono severe punizioni per gli amministratori trattati alla stregua di alunni soggetti alla possibilità che la Corte dei Conti ne decreti nientemeno che il “fallimento politico” come recita letteralmente l’articolo 6 del testo approvato.

Nel contempo si persiste a voler valorizzare il ruolo di comuni province e regioni come coadiutori nella lotta all’evasione dei tributi statali. E’ una posizione veramente paradossale: lo Stato dispone di quasi cinquantamila dipendenti dell’Agenzia delle Entrate, di sessantamila finanzieri in divisa e pretende che siano gli amministratori a fare gli ispettori del fisco.

In sintesi condividiamo il giudizio espresso da Errani a nome delle regioni; si tratta di un atto unilaterale contrario al federalismo”.

Del resto sia chiaro un fatto: lo stato centrale non ha le carte in regola per tenere questo atteggiamento da maestrino severo con gli enti locali. Potremmo citare montagne di numeri per confermare questa tesi che è sotto gli occhi di tutti: e’ l’amministrazione centrale dello stato che spende troppo e male e non fa nulla per razionalizzare questa spesa.

E questa mentalità centralista non si manifesta soltanto sul terreno della gestione delle risorse. Tipico da questo punto di vista è l’eccesso di zelo con il quale i ministri, potremmo dire di Sua Santità, Maroni, Sacconi e Fazio si sono affannati a bacchettare i comuni che hanno ritenuto di istituire registri relativi al testamento biologico.

E bene ha fatto l’Associazione Comuni d’Italia a contestare tale interpretazione ritenendo pienamente legittima la raccolta di luogo e soggetto presso il quale si è ritenuto di depositare la propria dichiarazione di volontà.





Lo stato che stritola

Tutto questo crea ovviamente uno stato di sofferenza.

Il carattere distintivo di questa estrema difficoltà è chiarissimo: le amministrazioni locali, tutte, senza distinzioni tra Regioni, Province e Comuni, rischiano di essere stritolate, anzi per dir meglio, vengono quotidianamente stritolate, nella morsa tra una demagogia decentratrice totalmente priva di effetti pratici, ma che genera aspettative nelle popolazioni amministrate e la realtà di una cultura centralista concretamente operante che al contrario riduce drasticamente le risorse e le capacità decisionali e di intervento locale.

Tutti gli indicatori confermano questa tendenza. Se esaminiamo le risorse stanziate sui principali fondi di carattere sociale vedremo che il Fondo per le politiche sociali si è ridotto da 1.582 miliardi a 1.174, quello per la famiglia da 276 a 185, quello per la prima infanzia da 206 a 0, quello per l’inclusione sociale degli immigrati da 100 a 0.

E così via. E di questi dati, sempre con lo stesso segno, ne potremmo snocciolare molti altri.

A ciò si aggiunge la crescente tendenza a scaricare sugli enti le gravi inadempienze che vanno ascritte prevalentemente al Governo nazionale, come avvenuto di recente sulle vicende di Napoli e dell’Aquila.

Insomma il Governo si comporta con le autonomie come un quartier generale che dopo aver lasciato le truppe al fronte senza armi e munizioni, scarica su di esse la responsabilità per la battaglia persa.

Questa situazione induce tra l’altro a drammatizzare ulteriormente la polemica sui “costi della politica“ fino a far considerare ogni istituto democratico, anche locale, in termini di semplice costo, e non di risorsa per la collettività.

Ci siamo sempre opposti a questa demagogia. Gli sprechi ci sono indubbiamente e vanno combattuti, così come andrebbero premiati i comportamenti virtuosi. E questo non avviene.

Si fa di ogni erba un fascio e poi non si fa nulla per razionalizzare. E’ tipico di questa demagogia il tormentone delle province. Si agita il tema dell’abolizione a fini elettorali e poi, passata la festa e gabbato il cittadino, non si fa nulla di nulla. Noi sosteniamo che il sistema province vada razionalizzato così come quello dei comuni e ancor più quello degli enti sovra comunali. E’ assurdo che la Sardegna abbia istituito una provincia di cinquantottomila abitanti con ben due capoluoghi, Lanusei e Tortolì. Ma non è meno sbagliato che continuino ad esistere centinaia di comuni con meno di cinquecento abitanti.



Verso le elezioni amministrative

Nella prossima primavera saranno chiamate al voto 11 province e oltre 1000 comuni, 27 capoluoghi tra i quali Milano, Torino, Bologna, Napoli. Una scadenza importantissima. I primi passi preparatori non sono stati entusiasmanti per il centro sinistra.

Dopo il risultato poco gradito di Milano e alle prese con litigi, rinvii e procedure ingarbugliate in molte altre città, i dirigenti del Partito Democratico cominciano ad avere qualche dubbio sulle virtù salvifiche dello strumento “primarie”.

Riserve che, per la verità, noi socialisti abbiamo espresso da sempre. Non tanto sullo strumento in sé, che in altri contesti ha indubbia validità, quanto sul modo furbesco e surrettizio con il quale è stato innestato nel nostro sistema.

In realtà questo innesto è figlio, come altre creature analoghe, di una cultura “antipolitica” che ha imperato nel nostro paese e che continua a dare cattivi frutti.

Quando oggi si contesta la legge elettorale che crea un Parlamento di “nominati”, si dovrebbero ricordare i “listini” di nominati previsti dalla legge elettorale regionale o gli assessori “nominati “ dai Sindaci e non eletti dai Consigli, in quella comunale e provinciale: due scelte legislative che nascevano da un pregiudizio di inferiorità degli eletti dal popolo rispetto a persone provenienti da una non meglio precisata società civile.

Dallo stesso pregiudizio nasceva la spinta ad affidare alla “base” la scelta dei candidati alle cariche elettive, senza alcuna garanzia e procedura certa, considerando i partiti privi della legittimazione democratica a compierle. Il Partito Democratico, e prima ancora i DS e la Margherita, hanno per anni assecondato questa tendenza usando poi lo strumento a totale discrezione e secondo convenienza per consolidare la propria egemonia sulla coalizione di centro sinistra.

Ma ora la creatura si ribella, acquisisce vita autonoma ed ecco che ci si pone il problema di come neutralizzarla. La nostra opinione in merito è molto semplice e si può riassumere così: riguardo al presente riteniamo che non è mai opportuno cambiare le regole del gioco durante la partita, pertanto le primarie in programma vanno celebrate. Se possibile con regole omogenee e coinvolgendo tutta la coalizione e non “a la carte” , come purtroppo sta avvenendo ancora una volta, e cioè secondo le convenienze locali di questa o quella forza, o peggio di questa o quella corrente.

Per il futuro lo strumento, così com’è e salvo che non sia normato nell’ambito di nuove leggi elettorali, va superato. Del resto nelle elezioni comunali e provinciali esso è inutile, in quanto in caso di disaccordi il primo turno può tranquillamente svolgere il ruolo (altrimenti non se ne capirebbe la funzione) di selezionare le varie candidature a Sindaco e a Presidente.

Per quanto ci riguarda affronteremo le elezioni ……"

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