Come battere la crisi, le ricette di Paul Krugman Uci - Unione Coltivatori Italiani Come dice il Nobel per l’economia Paul Krugman, quando, ormai circa tre anni fa, la grande crisi economica si annunciò nell’ambito del circuito bancario-finanziario (era lì l’infezione, e da lì dunque tutto è cominciato), i governi si preoccuparono di tenere le banche in piedi, facendo molti favori alla casta dei banchieri, ebbene questo dà moralmente fastidio, ma non è di per sé economicamente deprorevole, nel senso che si può capire che si sia voluto tenere in piedi le banche, per far circolare il denaro e insomma tenere a galla tutta la baracca. Quello che non si capisce, aggiunge però Krugman, e anzi è davvero pernicioso, è perché quando la crisi si è estesa agli altri, ai lavoratori, ai piccoli imprenditori, ai pensionati, non si è avuto lo stesso senso di responsabilità e solidarietà che è stato manifestato per i “poveri” banchieri. Si è fatto, quindi, come se il salvataggio delle banche fosse un problema politico, mentre la disoccupazione un problema dei disoccupati. E questo, secondo l’economista americano, non può funzionare e non funziona. Krugman è considerato un Nobel “controverso”, perché non rispetta la presunta oggettività delle scienze economiche: ma è proprio questa pretesa di oggettività che Krugman contesta senza affatto nascondersi. La ricetta per cui la crisi si affronta tagliando le pensioni (magari avendo risparmi crescenti tra dieci anni o più), i salari e l’intervento pubblico è appunto una ricetta, ma molto probabilmente non è la sola e non è quella oggettiva. Gli esempi dal mondo dell’agricoltura possono confermare che la crisi diventerà sempre più dura senza investimenti pubblici, in primo luogo nel sostegno alla produzione. Non c’è poi produzione senza consumo: la disoccupazione di massa è un problema per tutti, non solo per chi la vive, anche perché la stretta dei consumi si ripercuote su tutta l’economia “reale”, quella dell’agricoltura e dell’industria. Invece, il dibattito americano sta mettendo in luce che banche e istituzioni finanziarie sono effettivamente fuori dall’occhio del ciclone, ma tengono i loro soldi strettamente sotto chiave, invece di investirli nell’economia produttiva: un quarto del Prodotto interno lordo americano è detenuto dalla finanza (cfr. http://www.blitzquotidiano.it/economia/usa-crisi-banche-corporazioni-ridurre-disoccupazione-1045901/). La situazione in Europa è parzialmente diversa, perché la mancanza di una vera politica unica a livello europeo, come è stata fatta dagli americani, ha messo a rischio l’euro, moneta fragile perché non sostenuta da un tesoro europeo e da un fisco europeo. Quindi l’Europa è più fragile anche finanziariamente. Comunque, la disoccupazione sta crescendo con una velocità allarmante. Il rischio è quello di una crescita stagnante o addirittura negativa e una disoccupazione sempre in aumento. La priorità deve essere allora, simile a quella indicata da Krugman per l’America: creare nuovi posti di lavoro, prevenire la disoccupazione di massa promuovendo uno sviluppo sostenibile. Manca chi conduce l’azione: se le nostre economie sono, ora più che mai, interdipendentii, un’azione nazionale non è sufficiente, ma un’azione europea non è adeguata, nè si può credere che il duo solista Merkel-Sarkozy possa sostituirisi al “concerto” europeo. Certo ci vuole un piano di sviluppo che abbia benefici per tutti. Quindi più investimenti per l’efficienza energetica, l’isolamento degli immobili privati e degli edifici pubblici, reti energetiche e a banda larga, l’aumento dei servizi pubblici (come il rinnovamento delle scuole e la costruzione di centri per l’infanzia o per gli anziani) e maggiori opportunità educative e di formazione; maggiori facilitazioni creditizie per gli investimenti privati (per far sì che le banche non tengano tutto sotto il mattone), e, dopo tanto parlare del patto europeo di stabilità monetaria, anche un patto per l’impiego che impegni anche i governi e far vedere che dai sacrifici esce pure qualcosa di utile. La dicharazione (tutta da confermare) del governo Monti che si tasseranno finalmente le transazioni finanziarie potrebbe essere un segnale che si comincia a fare qualcosa per spostare la ricchezza dal salvadanaio della finanza alle fabbriche e ai campi, per la ripresa.
Autore : Luca Cefisi
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