Sarebbe prematuro
tentare di ponderare “a caldo” le conseguenze politiche e istituzionali
della sentenza annunciata ieri dalla Corte Costituzionale. A fil di
logica, però, la decisione della Consulta fa ormai apparire insostenibile
ogni residua pretesa di manipolare la Costituzione da parte di un
Parlamento la cui rappresentatività per diversi aspetti è
irreparabilmente compromessa.
Tutti i parlamentari italiani subiscono oggi una deminutio
di autorevolezza, che ricade in modo particolarmente grave su coloro i
quali siano stati “nominati” per grazia delle performances, teatrali o
televisive, dei loro leader.
D’altro canto la legislatura non può però terminare
finché non sia entrata in vigore una nuova legge elettorale, per quanto
inevitabilmente provvisoria essa sarà. Realisticamente ciò richiederà
qualche tempo. E, frattanto, il Paese giungerà quindi alle soglie del
semestre italiano di Presidenza UE, sicché è nell’interesse generale
consentire la continuazione della legislatura ancora per l’intero 2014.
Come pure è nell’interesse generale che Governo e Parlamento sappiano
utilizzare i prossimi dodici mesi per dare corso a misure in grado di
fronteggiare la crisi.
Senza dubbio, una di queste misure dovrà constare in un prelievo di ricchezza dai grandi patrimoni, e ciò nella misura minima necessaria a permettere qualche serio intervento di rilancio produttivo.
Sul piano istituzionale il Governo e il Parlamento potrebbero altresì indire l’elezione di una Assemblea Costituente, da eleggersi con metodo proporzionale. Come nel 1946 gli elettori potrebbero ricevere due schede,
l’una per l’elezione dei costituenti, l’altra per la scelta della forma
di Governo, se parlamentare, presidenziale o semipresidenziale.
All’Assemblea Costituente andrebbe affidato il compito di redigere una bozza organica di riforma, volta a mettere in sicurezza l’architettura fondamentale della nostra Repubblica. (AE)
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