venerdì 20 aprile 2012

Invece dello scontro sull’Art.18, i sindacati dovevano puntare ad altro


Posto che per assumere di più (se c’è qualcuno che assume in Italia) sarebbero stati sufficienti i già esistenti contratti a tempo determinato di un anno (rinnovabili), si ha l’impressione che sulla riforma dell’art. 18 il Governo abbia pretestuosamente cercato lo scontro su un tema notoriamente caldissimo.
Concentrandoci sulla reazione dei sindacati, l’immagine che questi hanno dato è stata del tutto in linea con le radici ideologiche di ognuno di essi, senza sorprese, senza passi in avanti.
I sindacati, anziché protestare, avrebbero potuto negoziare e portare a casa un risultato ben più grande dell’ormai superato art. 18 (francamente indifendibile), vale a dire la cogestione delle imprese.
In Italia, ma anche in altri Paesi, non si ha ancora la percezione, tuttavia, della importanza della cogestione per il tessuto economico-sociale e per la crescita economica.
La tendenza ad inquadrare i fenomeni di democrazia industriale (Cogestione) nella sfera del diritto del lavoro è tenace in molti settori della cultura italiana, da quello accademico, dei think tank e quello politico, che insistono nel considerare la cogestione quale diritto dei lavoratori ad intervenire su temi “minori”, quali l’orario di lavoro, gli straordinari, i congedi paternità e maternità.
Ma si sbagliano, perché la cogestione è un esperimento giuridico-economico-sociale appartenente alla sfera più alta della gestione dell’impresa e delle relazioni industriali, diversa e più estesa anche della c.d. concertazione.
La cogestione si inserisce nel controllo e nella gestione dell’impresa o del gruppo di imprese determinando il potere-dovere dei lavoratori di sapere e decidere insieme ai proprietari/azionisti la vita, le strategie e gli investimenti dell’impresa stessa.  Un esempio: tecniche di finanza spericolata e di breve termine, tese a lucrare un guadagno cospicuo a rischio dell’intera impresa potrebbero essere impedite da un consiglio di amministrazione in cui siedono rappresentanti dei lavoratori che difendono invece una strategia di lungo termine con meno rischi. Si tratta di cambiare prospettiva. Cogestione significa la fine del conflitto fra proprietà e lavoratori.
L’impresa non appartiene esclusivamente agli azionisti, ma anche ai lavoratori che ogni giorno ci vanno a lavorare. Ora un Paese con tassi crescenti di disoccupazione, crescita ferma e debito pubblico galoppante, dovrebbe riportare al centro del dibattito il soggetto deputato a creare occupazione, crescita economica e gettito fiscale, vale a dire l’impresa.
Una volta posta in cima all’agenda l’impresa occorre determinare un quadro giuridico economico che ne determini il successo. Il successo è determinato dall’aumento della efficienza, produttività, innovazione e quindi competitività dell’impresa, e del Paese, come studi empirici hanno dimostrato in Germania, dove appunto la cogestione è legge dal 1951.
Tra le privatizzazioni degli anni 90 e le nazionalizzazioni oramai relegate ai casi estremi di salvataggio, la terza via è rappresentata dalla cogestione dell’impresa, un progetto che cambia il Paese e lo rende più unito, invece di dividerlo, come sempre, su questioni ideologiche quali l’art. 18.

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