venerdì 2 marzo 2012

PSOE, un partito normale. Un partito vero



Quando vediamo un congresso del Psoe terminare 487 a 465, e i due candidati, il vincente e la soccombente, abbracciarsi e sorridere, proviamo invidia.
Ecco cos’è un partito politico: una comunità di ideali e di progetti, che attua al suo interno la stessa democrazia che pratica nelle istituzioni. Senza venerare troppo quel feticcio di latta che è l’unità a tutti i costi, perchè non è vero che i partiti che discutono siano più deboli dei partiti unanimi, anzi. Senza che nessuno sia padrone e proprietario, soprattutto. Nel congresso di Siviglia, ogni delegato contava: fino all’ultimo è stata rincorsa a convincere quelle federazioni e quei singoli che rimanevano incerti. Serve, iscriversi ad un partito così. Ha senso farlo, hanno valore quei pochi euro della tessera. E’ meglio che versare un euro per partecipare a “primarie” che poi rimangono una specie di botta e via. E’ molto meglio che acquistarsi una partecipazione in un partito aziendale, versare un chip di migliaia di euro per candidarsi in franchising. E’ decisamente meglio che passare dalla villa del padrone per farsi ricompensare la marchetta con uno stipendio di consigliere regionale.
Chacon e Rubalcaba non rappresentavano una grande differenza politica: l’unità dei socialisti spagnoli c’è, ed è culturale, di visione. Rappresentavano certo modi diversi, castigliano e catalana, uomo e donna, felipista e zapaterista, più anziano e più giovane. Rubalcaba ha detto che non ha mai creduto nei “salvatori”, nelle leadership personalistiche. Ecco, in un partito così, un Berlusconi, ma anche un Di Pietro, sarebbe impensabile: non si tratta di una proprietà privata. Ma sarebbe impensabile anche un Lusi: sottrarre i soldi delle campagne elettorali per comprarsi ville e case in centro. E’ tutta un’altra antropologia, insomma, prima ancora che tutta un’altra ideologia.

Luca Cefisi

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