Il discorso di Filippo Turati del 20 maggio 1915 alla Camera dei Deputati confermava il no del gruppo socialista ai pieni poteri e alla guerra, ma conteneva anche tutti gli elementi per valutare il senso politico che assume in Turati il rifiuto socialista della guerra.
C'è soprattutto il
tono riformista del neutralismo turatiano, che solo superficialmente coincide
con la formula "né aderire alla guerra né sabotarla" che era stata
decisa dalla maggioranza massimalista del PSI. Turati denuncia anche la
pressione sul Parlamento organizzata con manifestazioni a favore
dell'intervento in guerra (manifestazioni appoggiate dal Governo), e protesta
contro la mortificazione e l'umiliazione subite dall'istituto parlamentare.
Altro momento di chiara intonazione riformista è quello che riassume le ragioni
del neutralismo, "sul terreno dell'immediato contingente", per un
Paese così debole economicamente come era l'Italia. Un terzo punto merita
attenzione, ed è quello che distingue il neutralismo turatiano da ogni altro
neutralismo, che fosse esterno al partito socialista (il neutralismo dei
liberali giolittiani e dei cattolici), o interno al partito socialista. Il
neutralismo socialista era sospettabile di antipatriottismo, nonostante il
"non sabotare"; al di là del pacifismo tradizionale dei socialisti
c'era una curvatura ideologica, di classe, che mirava a contrapporsi
frontalmente allo Stato liberale, a tutti gli altri partiti, alla classe
borghese intesa come un blocco.
Il neutralismo di
Turati era invece fatto nello stesso tempo di principi, di argomentazioni sulle
ragioni contrarie all'intervento in guerra, e di preoccupazioni legate alla
necessità di non rompere del tutto i rapporti tra le masse operaie e lo Stato
liberale, e di allontanare dall'immagine del socialismo i sospetti di
antipatriottismo e di disfattismo.
La divergenza tra il
neutralismo patriottico di Turati e il neutralismo ideologico della maggioranza
massimalista del PSI doveva ulteriormente ampliarsi negli anni successivi. Un
articolo pubblicato nel novembre 1917 (dopo Caporetto), e gli interventi alla
Camera dei deputati del 23 febbraio 1918 (battaglia del Grappa) e del 12 giugno
1918 (battaglia del Piave) indicano i momenti più significativi del socialismo
patriottico di Turati.
Nell'articolo
pubblicato su Critica Sociale del 1-15 novembre 1917, dal titolo
"Proletariato e resistenza" e firmato insieme da Turati e da Claudio
Treves, il socialismo riformista dava tutta la misura del suo patriottismo.
All'indomani della catastrofe di Caporetto i due principali esponenti della
corrente riformista scrivevano: "Quando la patria è oppressa, quando il
fiotto invasore minaccia di chiudersi su di essa, le stesse ire contro gli
uomini e gli eventi che la ridussero a tale sembrano passare in seconda linea,
per lasciare campeggiare nell'anima soltanto l'atroce dolore per il danno e il
lutto, e la ferma volontà di combattere e di resistere fino all'estremo".
Lo scandalo e la
condanna che questo articolo suscitò nella direzione massimalista del PSI, che
non era più convinta del valore democratico della istituzione parlamentare, e
si dichiarava avversaria irriducibile di ogni idea di solidarietà nazionale
anche in quel momento così tragico e disperato, non intimidirono Turati, che
ribadì i suoi concetti e continuò a farli valere in polemica contro
l'infatuazione ormai dilagante nel PSI per la rivoluzione d'Ottobre, per Lenin
e per i Soviet. I discorsi di Turati in occasione delle battaglie del Grappa e
del Piave chiarirono che il distacco tra riformismo e massimalismo era ormai
netto e incolmabile, e che si trattava di un dissidio irriducibile. La
Direzione del PSI espresse l'opinione che i discorsi di Turati alla Camera
erano "in aperto e stridente contrasto con le direttive del PSI".
Anche il congresso socialista di Roma (settembre 1918) votò una censura
esplicita contro il neutralismo patriottico di Turati, di Treves e di
Prampolini.
Nel discorso del
febbraio 1918, replicando a Orlando che aveva detto "Grappa è la nostra
patria", Turati ricordò tra gli applausi che questo era vero "per
tutti noi, per tutta l'Assemblea" e che "le ore difficili le
attraversiamo anche noi, le ore dell'angoscia le viviamo anche noi". Il
dissenso dei socialisti era un "dissenso di metodo" e stava nel fatto
che "noi non crediamo che la guerra possa condurre a quei fini che voi
credete". E ribadì che "Grappa è la nostra patria, ma la patria si
serve da ciascuno secondo i propri ideali e la propria coscienza".
E nel giugno 1918,
nel momento della battaglia del Piave, Turati dichiarava che non avrebbe votato
la fiducia al governo, ma esprimeva la solidarietà anche dei socialisti
"con l'esercito che in questo momento combatte per la difesa del
Paese". "Noi ci sentiamo tutti rappresentanti della nazione in
armi", e i socialisti si sentono "anche più di altri", i rappresentanti
di "questo popolo che oggi soffre, combatte e muore". Per Turati
quella non era "l'ora delle discussioni teoriche, delle recriminazioni e
delle polemiche", perché "non è l'ora delle parole, mentre lassù si
combatte, si resiste, si muore, per così vasto e profondo arco di confine
italiano, e le nostre anime sono tutte egualmente protese nella angoscia, nella
speranza, nello scongiuro, nell'augurio". Era il momento in cui
"quando parlano i fatti, quando il sangue cola a fiotti dalle vene aperte
di una nazione, di una stirpe, quando tutte le responsabilità più formidabili
si addensano su uomini, su partiti, su classi, su istituzioni, bisognava capire
che "grondante di sangue e di lacrime, onusta di fato, si affaccia e passa
la Storia".
La discussione sulla fiducia al governo era l'ultimo atto della sessione parlamentare. Turati ricordava che la Camera dei Deputati, "di cui tutti sappiamo le umane deficienze" è "la sola espressione legittima, la più vera, la più sincera, la sola espressione possibile oggi del Paese e del popolo". E ammoniva il Governo: "non perda mai, ma invochi, ma pretenda, il contatto con la Camera, che è la sua legittimità, la sua forza, la sua ragione".
Con il voto "noi diciamo arrivederci, arrivederci presto, arrivederci tutti quanti - ai colleghi e al Governo. E il saluto questa volta non è vacuo cerimoniale di galateo. E' anche - dei socialisti italiani - l'arrivederci augurale all'Italia". E il resoconto della discussione della Camera dei Deputati ricorda che "i deputati sorgono in piedi e prorompono in vivissimi unanimi applausi che si rinnovano a più riprese, moltissimi colleghi si recano a congratularsi con l'oratore, e alcuni di essi, tra questi anche il ministro Bissolati, lo abbracciano".
Un atteggiamento che Turati confermò anche negli anni successivi. Nel discorso parlamentare del 10 novembre 1922, in cui dichiarava la sua opposizione al governo Mussolini, Turati disse: "No. La Nazione e la Patria non sono monopolio né vostro né di alcun partito. Sono l'aria che respiriamo, sono gli affetti, i ricordi, le speranze di quanti nacquero e vivono su questo suolo. Pretendere di farne monopolio di un partito, questo, sì, è creare l'antipatriottismo".
La discussione sulla fiducia al governo era l'ultimo atto della sessione parlamentare. Turati ricordava che la Camera dei Deputati, "di cui tutti sappiamo le umane deficienze" è "la sola espressione legittima, la più vera, la più sincera, la sola espressione possibile oggi del Paese e del popolo". E ammoniva il Governo: "non perda mai, ma invochi, ma pretenda, il contatto con la Camera, che è la sua legittimità, la sua forza, la sua ragione".
Con il voto "noi diciamo arrivederci, arrivederci presto, arrivederci tutti quanti - ai colleghi e al Governo. E il saluto questa volta non è vacuo cerimoniale di galateo. E' anche - dei socialisti italiani - l'arrivederci augurale all'Italia". E il resoconto della discussione della Camera dei Deputati ricorda che "i deputati sorgono in piedi e prorompono in vivissimi unanimi applausi che si rinnovano a più riprese, moltissimi colleghi si recano a congratularsi con l'oratore, e alcuni di essi, tra questi anche il ministro Bissolati, lo abbracciano".
Un atteggiamento che Turati confermò anche negli anni successivi. Nel discorso parlamentare del 10 novembre 1922, in cui dichiarava la sua opposizione al governo Mussolini, Turati disse: "No. La Nazione e la Patria non sono monopolio né vostro né di alcun partito. Sono l'aria che respiriamo, sono gli affetti, i ricordi, le speranze di quanti nacquero e vivono su questo suolo. Pretendere di farne monopolio di un partito, questo, sì, è creare l'antipatriottismo".
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