giovedì 8 novembre 2012

L'AGENDA RIFORMISTA DOPO LA VITTORIA DI OBAMA

Dopo tanto discutere sulle possibilità di Mitt Romney di conquistare gli swing states che gli avrebbero garantito la vittoria, il voto reale ha premiato Barack Obama. Nonostante il peso delle difficoltà economiche, spesso letali per il presidente in carica, i Repubblicani non sono riusciti a riconquistare la Casa Bianca. Il fattore demografico ha senz’altro contato, come nel 2008. L’America cambia ed è innegabile che il voto delle minoranze etniche (ma ha senso parlare di minoranze etniche negli Usa?) abbia avuto un peso nelle due vittorie del candidato Obama. Ma l’associazione automatica e ineluttabile del “voto etnico” al campo progressista è una semplificazione e il futuro potrebbe riservare delle sorprese, sia in America che in Europa.
La vittoria di Obama potrebbe, e dovrebbe, rinvigorire le prospettive riformiste e progressiste anche in Europa. Ovviamente con le dovute differenze di contesto. Se in America il termine “socialismo” evoca l’intrusione incontrollata dello Stato nella vita privata dei cittadini, in Europa assume una connotazione ben diversa. A parere di Kevin Hickson (Fabian Society), la riaffermazione della cultura politica socialista dovrebbe poggiare sulla sua natura intrinsecamente liberale e sulla riscoperta dei valori democratici. Quello stesso socialismo liberale che il celebre sociologo Zygmunt Bauman considera utile ispirazione per una politica chiamata a riscattarsi per evitare che la crisi globale degeneri in una “guerra per le risorse”. Per scongiurare i peggiori scenari, i principi della buona politica dovranno tuttavia essere accompagnati da proposte specifiche su come risollevare le economia nazionali in nome della giustizia sociale (e generazionale) e delle pari opportunità di partenza.
Del resto, come rileva Jacob Funk Kirkegaard del Peterson Institute, i livelli della disoccupazione in diversi paesi europei, Grecia, Spagna e Italia in particolare, mettono in rilievo la necessità di interventi governativi per facilitare l’accesso all’impiego dei giovani. Secondo un altro stimolante punto di vista espresso da Sharun Mukand, professore di Economia alla Warwick University, in un mondo sempre più integrato a livello tecnologico e culturale, e in cui la globalizzazione del commercio di beni e capitali sta rapidamente raggiungendo i limiti di saturazione, non è più concepibile che i decisori politici ignorino gli enormi benefici che deriverebbero da una maggiore mobilità internazionale dei lavoratori.

Critica Sociale - Anno 2012, numero 5/6
http://www.criticasociale.net/index.php?

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