sabato 1 settembre 2012

Sergio Moroni 20 anni dopo



A vent’anni di distanza il “gesto” di Sergio Moroni va ricordato non per una cerimoniale commemorazione, ma soprattutto per restituirgli verità e giustizia. Quella verità e giustizia che in questi venti anni gli sono state negate. Quando lo compì non fu possibile. Nel “chiasso” di quel settembre 1992 prevalsero l’intimidazione e la mistificazione. Lo stesso Giorgio Napolitano destinatario della lettera in cui Moroni motivava il suo “gesto”, ha ammesso – nel 2006 - di essere stato in quell’occasione reticente, se non pavido: “Avrei forse dovuto, quel giorno, dire di più”. 
Di fronte alla notizia del suicidio i pm di “Mani Pulite” si riunirono e dopo due ore i magistrati convocarono i giornalisti dichiarandosi “sereni”. Il futuro senatore Gerardo D’Ambrosio scandiva: “Si vede che c’è ancora qualcuno che per vergogna si suicida, per il resto non posso entrare nella mente di un altro”. E Piercamillo Davigo così commentava il dolore dei compagni socialisti di Moroni: “Piuttosto dovrebbero interrogare le loro coscienze coloro che con lui hanno commesso questi reati”. Si era in “fase preliminare”, ma la “presunzione d’innocenza” non era contemplata. Moroni - senza mai essere stato ancora sentito dagli inquirenti e senza che ancora fossero iniziate le indagini per cui era necessaria l’autorizzazione a procedere della Camera dei Deputati - era già stato pubblicamente condannato con sentenza definitiva. All’epoca quei pubblici ministeri dai loro giornalisti erano, infatti, chiamati “giudici

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