giovedì 23 giugno 2016

Pensieri sparsi... ricordando Achille Franchini di Gabriele Boselli

A proposito di “ho aperto tenti toraci ma l’anima non l’ho mai vista”: l'anima come "qualcosa che appartiene al corpo" (Aristotele) e il corpo come qualcosa che appartiene all'anima . Distinzione tra appartenenza e inerenza e possesso.
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La medicina positivistica, dissociando la materia del corpo dal suo senso , ossessionata dalla finitezza, dimentica del senso infinito della finitudine, rende muto o patologizza quest'ultimo. Si pone come occhio malato che fa ammalare il vissuto del corpo, ovvero l'unico corpo di cui disponiamo. Patologizzazione come effetto del disconoscimento del senso.
b) anima e corpo come eventualità -eventi che possono non essere mai o modificare il loro modo di essere eventi- differenti (ma non plurali)
c) la radicalizzazione cartesiana della differenza e la rivendicazione fenomenologica del soggetto
d) Il corpo vivente come mondo dell'anima e anima al mondo
Medicina come clinica, ma anche come preclinica e postclinica o semplicemente "che non pensa sempre al letto"
La medicina come pedagogia (teoria dello spettro intenzionale e del suo attuarsi) del corpo: educarlo -variando l'ambiente esterno ed interno e/o attraverso la parola e il farmaco- al rinvenimento o al ritrovamento del ben-essere a sé stessi e agli altri.
Cosa potrebbe suggerire la pedagogia alla medicina
Sul piano teorico:
-Invitarla a passare dalla semiotica (spiegazione dei segni, dei "dati") all'ermeneutica , comprensione dei "dati" in quanto origine/manifestazione di vissuti. (v. Galimberti e Dallari)
L'enigma-uomo é scritto nelle lingue ambigue e solo in parte note del suo apparire fisico e verbale. La comprensione del suo enigma da parte di un altro soggetto non meno enigmatico può avvenire attraverso la malattia (manifestazione) del corpo nel suo oscillante accompagnarsi alla parola. Il malato esprime per grida o per cenni (eccesso/difetto) la propria situazione di alterità sofferente.
-Ritenersi attori delle fondazioni scientifiche, non dei fondamenti: le fondamenta -statiche- sono irrimediabilmente incrinate; le fondazioni -dinamiche- meglio resi­stono agli stati di equilibrio instabile. La precarietà del mondo, le violente discontinuità dell'epoca si riverberano nella qualità della vita, nell'anima e nel corpo del paziente e del suo medico. Si riflettono pure sulle linee pratiche e teoriche della medicina ab imis fundamentis.
La tentazione dello stregone (Unico depositario di un sapere certo).
Non dire mai: "La scienza afferma che...." ma: "Data la mia interpretazione dell l'attuale sviluppo del sapere medico, sarei portato a pensare che......."
-Rinuncia ai modelli diagnostici e terapeutici ( figure sintagmatiche seriali, offerte alla replica da parte d'altri), invenzione di sce­nari.
Lo scenario si differenzia dal mo­dello per la sua struttura intenzionalmente in­compiuta, strutturalmente aperta, tesa a disegnare ciò di cui tratta attraverso la prospettazione del contesto e delle linee relazionali. Mentre il modello clinico più corrente esprime soltanto se stesso e ciò su cui immediatamente verte e si propone a un'infinita replica­zione, lo scenario ogni volta rinvierà a qualcosa d'altro e dovrà essere ri­costruito prima di ogni prestazione.
Il modello oggettiva in un esistente depersonalizzato il significato che gli eventi hanno indotto in una particolare contingenza; lo scenario riassume eventi che potrebbero accadere e li consegna alla esplicitata soggettività dell' interprete. Funge da traccia a un disegno che questi potrà definire.
La pratica di chi segue un modello clinico é intesa a una sua replica il più possibile fe­dele. La pratica di chi si trova ad agire dentro uno scenario é in-tesa a ri-co-struire, entro sentieri che lo scenario non de­termina ma contribuisce a evocare. Il mo­dello ha una valenza determinante; lo scenario é influente ed evocativo.
-Il medico, da quello di famiglia a chi lavora all'università, ha il diritto-dovere di interessarsi dell' intero campo teorico e non solo della parte più immediata­mente corre­lata alla pratica quotidiana.
- Vedere la medicina anche come memoria e dunque come sapere narrativo, che compone con linguaggio rigoroso una costellazione sterminata di esperienze in una teoria-storia di storie di con-vivenza col proprio corpo e di consuetudini di cura.
-Smettere di pensare all'uomo come ad una macchina e alla psiche come a un supercomputer e a ritenere che sia possibileil governo degli eventi corporei prevalentemente attraverso la chimica o la programmazione razionalistica della condotta.
L'insieme variamente ordinato/disordinato corpo/anima non é determinabile né programmabile e solo probabilisticamente prevedibile. Risponde agli stimoli psichici e fisici non automaticamente ma in modo relativamente e mutevolmente autonomo (T;d. Compl.).

Sul piano pratico: "quasi-regole" (rielaborazione da A.Melucci )
-Data la probabilità solo statistica degli esiti, evitare l'interventismo, ovvero l'affermazione professionistica del proprio sapere tecnico con esiti di copertura dell'identità del (doppiamente) paziente
-Sviluppare -dimettendo la frenesia dell' agire e il pensare subordi­nato all' azione e alle possibilità di riconoscimento- nel terapeuta e nel chi si rivolge a lui capacità di meditazione e riflessione (v.contributo Franza) sulla propria identità globale
-Riconoscimento della centralità del soggetto del benessere e della sofferenza: l' entropatia (figurarsi, restando se stessi e non presumendo troppo, come l' altro può vivere la proposta clinica che stiamo per fargli) é la base di par­tenza dell' aver (in) cura
-Recupero (o invenzione) del punto di vista intersoggettivo: non si progetta un intervento dal punto di vista del soggetto-altro ( impossi­bile) ma nemmeno dal solo punto di vista personale e/o della corporazione/ordine e/o della società ( sarebbe alienante). Si progetta secondo lo stato della relazione che il sog­getto può reinstaurare con gli elementi del suo campo così come il terapeuta può vederli dal proprio, ineludibile punto di vista.
-Valenza di invito: apertura all' agire altrui nel "nostro" spazio esisten­ziale e professionale. Lasciar accadere e lasciar essere, rimuovendo atti­vamente gli ostacoli all' autorealizzazione della soggettività in noi stessi come negli altri.
-esplicitare il progetto di interpretazione e d'intervento
-individuazione dei problemi come problemi per......qualcuno formulati da qualcun'altro: i problemi cambiano a seconda dell' identità e del contesto di chi li vive e di chi li configura.
-pervenire alla rinuncia a decidere per altri (anche i minori devono uscire dallo stato di minorità) e all'obietti­vazione ( es. valutare l' altro se­condo noi stessi o, peggio, secondo anonimi, oggettivistici criteri di classifica­zione).
- rinunciare agli obiettivi, ovvero al lavorare per risultati immediata­mente ri­scontrabili e.......vendibili sul mercato.
-Imparare a conoscere i limiti oltre cui l'azione-per diventa un'a­zione/agitazione-su ( rif. all'accanimento terapeutico generalizzato, anche per un raffreddore)
-interpretare le risultanze del nostro agire se­condo un punto di vista ne' sog­gettivistico ne' og­gettivistico ma intersog­gettivo.
-Valorizzazione dell' attesa: il futuro in clinica non può essere pen­sato solo come effetto di un progetto ma anche prospettato da una disposizione di at­tesa di qualcosa che maturerà anche extrainten­zionalmente e non per questo sarà da vivere in negativo
-Tener conto che la non-collaborazione del paziente é un aspetto della sua malattia
-ridisegnare ogni giorno, ogni ora il disegno ed il progetto clinico a seconda delle evidenze che la realtà ci invia, della fantasia nostra e dei moti del cuore.
-Quando si sta male, per guarire "ci vuole un'altra vita" (F.Battiato, ma molto prima Ippocrate). Può non bastare, ma se la malattia é grave si ricade nello star male.
Se non bastano né la chimica, né la forzata morigeratezza, né il cambiamento di vita, allora significa che quanto, entro e fuori dal soggetto, congiura contro di lui é più forte della sua vittima. Se la malattia si concilia con l'esistenza si può operare (o non operare) affinché il soggetto trovi una sua pace (come altri ha notato, il linguaggio e l'ideologia della medicina sono invece piuttosto bellicosi). Diversamente, si può solo "lenire dolorem" e magari abbreviarlo
Quale che sia il tipo di interpretazione e di progettualità adottato, i pazienti faranno poi quel che la loro identità, il loro contesto e il loro spazio destinale li avran portati a fare. Il soggetto é soggetto ad ammalarsi e a guarire ma per la seconda cosa non può essere assoggettato.
Gli eventi son sempre diversi dal loro apparire immediato o secondario a protocolli professionali di etichettatura ed anche dal progetto che li ha evocati o riconformati. Mi sembra però verosimile che un progetto va­lido e rispettoso di tutte le dimensioni delle identità in gioco possa comunque positivamente esercitare una qualche influenza sullo sviluppo delle situazioni.
Questo é esercizio della Speranza, virtù importante per tutti, ma in modo particolare per educatori e medici.

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